Nell’esergo al libro si cela il senso più profondo della riflessione della Fallaci:
A mio padre che non vuole andar sulla Luna
perché sulla Luna
non ci sono fiori né pesci né uccelli.
A Teodoro Freeman che morì ucciso da un’oca
mentre volava per andar sulla Luna.
Ai miei amici astronauti che vogliono andar sulla Luna
perché il Sole potrebbe morire.
È un’ambientazione sospesa, rarefatta, ai limiti del fantascientifico, quella di Se il Sole muore: l’erba è di plastica e indistruttibile, i robot circolano liberamente per le strade, il forno parla, ci si sposta soltanto in elicottero e non è rimasta traccia degli odori «inutili» della natura, del mondo prima della svolta tecnologica. È una versione inedita – e quasi apocalittica – della Los Angeles di fine anni Sessanta a far da sfondo all’incontro tra Oriana Fallaci e gli astronauti che si stanno preparando allo sbarco sulla Luna.
L’accurato resoconto scaturito dal confronto di due modi antitetici di leggere la realtà si inserisce nel dibattito dell’epoca, e si basa su alcuni dolorosi interrogativi: è giusto andare sulla Luna? E se invece si trattasse di un gesto stupido, avventato? Se inseguendo il sogno di conquistare la Luna rischiassimo di perdere tutto il resto?
In un mondo sconvolto dai frenetici cambiamenti dello sviluppo scientifico, dove gli strumenti elettronici rendono tutto possibile e la ricerca spasmodica di un «annullamento» dei tempi allontana da quello che la Terra era stata fino a pochi anni prima, la Fallaci è testimone degli esperimenti che astronauti e scienziati americani portano avanti nel miraggio dello sbarco sulla Luna, e dello scontro generazionale di chi in esso scorge una sconfitta anziché una speranza. La scrittrice è a tal punto coinvolta nei progetti dei suoi amici astronauti che Pete Conrad portò con sé in orbita una foto di Oriana in compagnia della madre Tosca e, sbarcando sulla Luna, pronunciò una frase che la stessa Fallaci aveva scritto ad hoc.
Al posto del Sole che potrebbe morire, sinonimo di vita, di natura, di animali fiori e piante, ora si trova soltanto il fioco bagliore della Luna, rifugio estremo e simbolo di un’evoluzione che rischia di cancellare tutto quel che il mondo è stato, eliminando la passione, l’arte, la poesia, e non lasciando più spazio all’uomo.
Un assaggio
" Il sasso non si vedeva, tanto l’erba era fitta e rigogliosa: ci incastrai un piede e caddi distesa, parallela alla strada. Nessuno mi venne in aiuto. E poi chi? Nessuno camminava in quella strada e forse in tutte le strade della città. Nessuno all’infuori di me. Nessuno esisteva, nessuno con due piedi e due gambe, un corpo sulle due gambe, una testa sul corpo: esistevano solo automobili che scivolavan via unte, ordinate, sempre alla stessa velocità, alla stessa distanza, e non un uomo dentro, una donna. Sedevano figure umane al volante, d’accordo: ma così ferme, composte, che certo non si trattava di uomini, donne, si trattava di automi, robot. La tecnologia moderna non è forse in grado di fabbricare robot identici a noi? La prima legge dei robot non è forse «ricorda che non devi interferire con le azioni degli umani ammenoché gli umani non sollecitino il tuo intervento»? Io sollecitavo forse un qualsiasi intervento?
Al contrario. Distesa sul prato lungo la strada, le guance in fiamme per l’imbarazzo, speravo solo che non mi si scorgesse, che non si ridesse di me. E i robot obbedivano: scivolando via unti, ordinati, sempre alla stessa velocità, alla stessa distanza, nemmeno chiedendo al loro calcolatore elettronico se la donna a pochi passi era morta o era viva e se era viva perché non si rialzava. Non mi rialzavo perché avevo notato qualcosa di assurdo, di atroce: quell’erba non aveva odore di erba.
Al contrario. Distesa sul prato lungo la strada, le guance in fiamme per l’imbarazzo, speravo solo che non mi si scorgesse, che non si ridesse di me. E i robot obbedivano: scivolando via unti, ordinati, sempre alla stessa velocità, alla stessa distanza, nemmeno chiedendo al loro calcolatore elettronico se la donna a pochi passi era morta o era viva e se era viva perché non si rialzava. Non mi rialzavo perché avevo notato qualcosa di assurdo, di atroce: quell’erba non aveva odore di erba.
Ci tuffai dentro il naso, aspirai. No, non aveva odore di erba, non aveva odore di niente. Agguantai tra il pollice e l’indice un filo, tirai. No, non si sradicava, non si strappava neanche. Frugai con l’unghia giù in basso, cercai un granellino di terra. No, non si afferrava neanche un granellino di terra: che strano. Eppure era terra, aveva il color della terra, la consistenza della terra. E l’erba piantata lì dentro era erba, aveva il colore dell’erba, la consistenza dell’erba, erba morbida, fresca, annaffiata perfino con un ingegnoso sistema di spruzzi perché restasse verde, crescesse, mio Dio, non stavo mica delirando, sognando, quel prato era un prato, sì, certo, era un prato... Era un prato? Di nuovo ci tuffai dentro il naso, aspirai. Di nuovo agguantai tra il pollice e l’indice un filo, tirai. Di nuovo frugai con l’unghia giù in basso, cercai un granellino di terra e, quasi una coltellata al cervello, il sospetto divenne certezza. Era un prato di plastica. Sì, di plastica. E tutti i prati che avevo visto in quei giorni, i prati lungo i viali, i prati lungo le autostrade, i prati dinanzi alle case, alle chiese, alle scuole, i prati curati dai giardinieri, annaffiati, trattati come prati vivi, prati veri, prati che nascono e muoiono, erano dunque in plastica. Un immenso sudario di plastica, di erba mai nata e mai morta, una beffa.
Come punta da mille vespe mi alzai, rientrai di corsa in albergo, spalancai la porta del mio appartamento e quasi caddi sulla pianta di cactus che adornava il soggiorno. Era un grande cactus: verde, succoso, irto di aculei e con un fiore sul capo. Tastai prima il fiore, lo piegai, lo contorsi: rimase intatto. Infilai un dito fra gli aculei, pigiai la polpa, supplicai una stilla di liquido: mi rispose una cedevolezza di gomma. Gli strinsi con entrambe le mani gli aculei, disperatamente pregando che mi bucassero, che mi dicessero ti sei sbagliata: mi donarono solo un solletico lieve, gli aculei eran di alluminio con le punte arrotondate. E il ficus nel corridoio? Falso anch’esso, s’intende. E la siepe là nel giardino? Falsa anch’essa, s’intende. E forse eran falsi anche gli alberi intorno ai quali non v’erano mai moscerini né uccelli: ogni filo d’erba, ogni ramo, ogni foglia era falso in questa città dove niente nasceva cresceva moriva nel verde. False le margherite, le azalee, i rododendri. False le rose in quel vaso, false... Il vaso stava sulla TV e avvicinandomi non avevo più speranza né dubbio. Sfilai piano una rosa, la alzai all’altezza del viso, la lasciai ricadere, e la rosa fece crac! poi si infranse sul pavimento in mille schegge di minutissimo vetro. Sul pavimento rimase una brinata di freddo, una goccia di luce. Ero giunta a Los Angeles, prima tappa del mio viaggio dentro il futuro e me stessa.
( fonte e fotografie web)
Sono d'accordo finchè diciamo che la spesa per alcune ricerche, soprattutto allora era esagerata e il denaro poteva essere meglio impiegato, però fondamentalmente io sono d'accordo con la ricerca nello spazio, prima o poi l'uomo avrà bisogno di mondi nuovi perchè questo l'ha ucciso.
RispondiEliminaUn abbraccio
Ciao Melinda, appartengo a quella scuola di pensiero che è restia a credere che gli americani, all'epoca, sino veramente arrivati sulla Luna per diversi motivi, per primi motivi di ordine psicologico. In ogni caso penso che tutti quei soldi , anche allora, sarebbero stati meglio impiegati qui.
EliminaUn caro abbraccio.
Antonella
Una profonda riflessione della grande Oriana Fallaci che mi ha lasciata senza parole!
RispondiEliminaToccante riflessione! Grande il tuo post!
Buona giornata da Beatris
Sempre grazie per la tua presenza e per i bellissimi e graditi commenti che lasci al mio blog!
Ciao Beatris, per me è un piacere passare dal tuo blog e leggere le tue riflessioni.
EliminaGià allora la Fallaci era una grandissima giornalista e penso che in questo libro ci sia tutta la sua essenza.
Credo che sia il suo primo libro che ho letto...non ne sono sicura, avevo comperata insieme questo e "Niente e così sia " dietro consiglio della professoressa di lettere, non ricordo a quale avevo dato la precedenza nella lettura, so solo che da allora per me è diventata un mito.
Un abbraccio e buona giornata.
Antonella
Anch'io ho sempre adorato Oriana Fallaci. D'altra parte l'evoluzione dell'uomo è qualcosa, direi, di incontrollato. Il cammino è iniziato quando l'uomo ha messo piede sulla terra e passo dopo passo è arrivato alla tecnologia di oggi. Può essere un'arma distruttiva, come tutte le armi che l'hanno preceduta e che hanno ucciso milioni di uomini. Non credo ci si possa arrestare. Si può solo cercare una svolta, molti la stanno cercando, per salvare la Terra, pur senza fermarsi.
RispondiEliminaCiao Ambra, penso che inevitabilmente ogni epoca abbia avuto le sue distruzioni causate dall'uomo, forse anche questo fa parte del progresso e forse è vero che l'uomo distrugge ciò che ama.
EliminaPer quanto mi riguarda appartengo a quella scuola di pensiero che non crede che gli americani siano arrivati sulla Luna...e comunque preferisco pensare che "la pallida Luna lassù in ciel " resti un sogno...
Ciao, buona giornata.
Antonella
Ciao Antonella,
RispondiEliminama lo sai che più andiamo avanti e più mi stai passando la tua passione per questa scrittrice? mi piace molto il suo modo di raccontare soprattutto qui, in questo mondo fatto di cambiamenti sconcertanti e privazione della natura ove la luna e la sua fioca luce mostrano una realtà diversa.
Buona giornata
un bacione
Bene, allora questi post così poco letti, hanno comunque avuto un senso.
EliminaMi hai detto spesso che, per motivi che non sto qui a citare, avevi una sorta di timore ad avvicinarti alla lettura della Fallaci, ecco, questo potrebbe essere il libro adatto da cui iniziare.
Ti chiamo tra poco, un bacione.
Antonella
Cara Antonella, e chissà che non ci si arrivi a questa tragica trasformazione, la natura di plastica… che orrore sarebbe… mi vengono i brividi solo a pensarci.
RispondiEliminaChissà che fine farà questo nostro povero pianeta...
Bellissimo e interessante post, la Fallaci è meravigliosa!
Un forte abbraccio e dolcenotte :-)
Hai ragione, cara Betty, la Fallaci è stata,ed è tuttora anche se non c'è più, una donna meravigliosa.
EliminaE' vero l'immagine di un mondo di plastica è veramente orribile...come scrivevo ad Ambra forse è insito nell'uomo distruggere ciò che ama.
Ti auguro una serena giornata.
Antonella