martedì 29 settembre 2015

Fatterellando: Ferrero una geniale e straordinaria famiglia piemontese




Non sempre i grandi imprenditori sono grandi uomini.
 E non sempre i grandi uomini sono grandi imprenditori.








 Michele Ferrero è stato, insieme, l'uno e l'altro. Aveva l'occhio preveggente dell'imprenditore e il cuore della persona perbene che amava gli altri.
La sua statura d’uomo è frutto di una storia, che vale la pena ricordare.
La Ferrero nacque tre generazioni fa in una piccola pasticceria albese: qui il nonno Pietro mise insieme zucchero, nocciole e cacao per dar vita al primo gianduiotto.
 Una tradizione di inventiva «made in Italy» che trovò un degno erede e propulsore in
 Michele, l’inventore della Nutella, dei Ferrero Rocher, e di tanti altri prodotti che ormai sono nell’immaginario collettivo. L’impero del cioccolato dal 1997 era passato nelle mani dei figli Giovanni e Pietro; il primo a capo del marketing e delle strategie commerciali, il secondo, dei settori di innovazione e sviluppo industriale e finanziario, campi nei quali stava dando prova di capacità e intuizioni brillanti.









I Ferrero sono una delle pochi gruppi aziendali italiani a carattere familiare ad aver raggiunto una fama internazionale senza nutrire alcuna propensione per i riflettori. Pochissime le apparizioni in pubblico, ancor meno le interviste. Tanta invece la voglia di fare e di mettersi in gioco,  partendo «dai declivi delle Langhe che ho sempre avuto nel cuore» per allargarsi al mondo.








Questo grande e concreto amore al paese si coglie al volo: basta fare un giro per la città, e guardare cosa è nato, per espressa volontà della famiglia, attorno allo stabilimento.
 L’asilo nido per i figli dei dipendenti (ma anche per quelli delle famiglie albesi in difficoltà),
 la Fondazione Ferrero, con la sua biblioteca, il bar, la sala mostre
 , l’auditorium a disposizione della città… Non è un caso che dopo l’alluvione del 1994, quando le rive del Tanaro tracimarono inondando gli stabilimenti, tanti dipendenti siano accorsi di propria spontanea volontà a spalare il fango, perché la produzione potesse riprendere al più presto.








«Qui ad Alba ci sono le nostre radici, il cuore e il sentimento insieme» - così disse il figlio Pietro in una delle rare interviste concesse per una ricorrenza importante dell’azienda.
E tuttavia l’orizzonte va ben oltre la Langa, come testimoniano la storia – fu la prima azienda italiana del dopoguerra ad aprire stabilimenti all’estero - e l’attualità: 18 stabilimenti oltre confine e 22mila dipendenti in 4 continenti. Il diciannovesimo stabilimento è atteso in Sudafrica, dove Pietro si trovava il 19 aprile, giorno della sua morte.








Nato a Dogliani, il 26 aprile del 1925, Michele Ferrero è stato una figura unica nel panorama dell'imprenditoria italiana, un signore capace di portare ad un successo mondiale l'azienda fondata dal padre Pietro, geniale pasticciere di Alba, nel 1946.








Uomo schivo, di lui si sa poco, e sono rare persino le fotografie pubbliche (di immagini private neppure a parlarne). Per lui parlano i prodotti che da quasi sessanta anni entrano nelle case degli italiani e del mondo: la Nutella, i Rocher, i Mon Cheri, i Tic Tac, il Kinder Sorpresa. Alla base del successo global una grande intuizione imprenditoriale: trasformare i dolci in un alimento industriale per milioni di consumatori. 
Intuizione che ha fatto la ricchezza della famiglia ed il pregio dell'industria alimentare-dolciaria italiana in giro per il mondo, dagli Usa al Giappone, dal nord al sud. Michele Ferrero, ancora l'anno scorso, si era confermato il primo italiano presente nella classifica dei primi 100 miliardari del Billionaire Index di Bloomberg, alla trentesima posizione, con un patrimonio di 23,4 miliardi di dollari. E per trovare un altro nostro connazionale, il fondatore di Luxottica Leonardo del Vecchio, si doveva scendere di tredici posizioni più in basso. 









E proprio lo scorso anno la Ferrero aveva festeggiato da New York ad Alba, i 50 anni della Nutella, nata - come molti altri simboli vincenti di questo nostro Belpaese - nei favolosi anni Sessanta. La data ufficiale di nascita della Nutella viene infatti fatta risalire al 20 aprile 1964, quando dallo stabilimento Ferrero di Alba uscì il primo barattolo. Un'idea covata però già negli anni '20 quando la famiglia Ferrero pensava ad una merenda al cioccolato e a basso prezzo, da mangiare con il pane.
 Un alimento che, secondo Pietro Ferrero, il babbo di Michele, sarebbe stato perfetto per gli operai che andavano in fabbrica portandosi pane e salumi. La crema al cioccolato diventa così alle nocciole per la grande tradizione della gianduia in Piemonte e per una questione commerciale, la notevole disponibilità di nocciole sul mercato. Non è ancora la ricetta giusta, non è la crema da spalmare e non ha ancora il nome Nutella ma comincia a prender forma il mito che verrà. 









Nel 1946 quando arriva nei negozi si chiama Giandujot, o Pasta gianduja, e costa cinque volte meno del cioccolato tradizionale. Si vende a peso e si taglia a fette per imbottire i panini. Nel 1951 diventa Supercrema, una conserva vegetale venduta in barattoli. Ma è nel 1963 che Michele Ferrero, da quella felice intuizione del suo babbo, passa al colpo di genio e decide di commercializzare il prodotto in tutta Europa. Ingredienti, etichetta e nome cambiano. Un anno dopo vedrà la luce il primo barattolo di Nutella dal sostantivo nut, noce, e il suffisso italiano "ella".
Perché, vien da chiedersi? La risposta è semplice: occorreva un marchio universale, capace di incontrare i gusti di tutto il mondo ma che non perdesse la propria identità, il richiamo a quelle nocciole delle colline di Langa.









 Da allora in avanti saranno anni di continui successi, commerciali, globali e culturali. Perché la Nutella, così tentatrice, finirà per sedurre non solo gli operai a cui pensava Pietro ma anche scrittori, attori, registi. Lei, ad esempio, la Nutella compare come una diva in una scena del film «Bianca» di Nanni Moretti, e poi in saggi e libri di ricette, la citano nelle canzoni e persino un anticonformista come Giorgio Gaber la mette in un suo testo: «Se la cioccolata svizzera è di destra, la Nutella è ancora di sinistra». Comunque sia, piace a tutti. Senza confini. E chissà che il signor Ferrero non la trovi anche lassù, tra le nuvole.








«Il mio segreto? Fare sempre diverso dagli altri, avere fede, tenere duro e mettere ogni giorno al centro la Valeria». La Valeria? «La Valeria è la padrona di tutto, l’amministratore delegato, colei che può decidere del tuo successo o della tua fine, quella che devi rispettare, che non devi mai tradire ma capire fino in fondo». Questo dichiara Michele Ferrero in un' intervista rilasciata a Mario Calabresi che stupito  ripete la domanda: «Mi scusi signor Michele, ma chi è la Valeria?». «La Valeria è la mamma che fa la spesa, la nonna, la zia, è il consumatore che decide cosa si compra ogni giorno. È lei che decide che Wal-Mart sia il più grande supermercato del mondo, che decreta il successo di un’idea e di un prodotto e se un giorno cambia idea e non viene più da te e non ti compra più, allora sei rovinato. Sei finito senza preavviso, perché non ti manda una lettera dell’avvocato per avvisare che taglia il contratto, semplicemente ha deciso di andare da un’altra parte, di non comprarti più».








Michele Ferrero, racconta Calabresi, parla con voce allegra, squillante, gli piace tantissimo ricordare. Ha sempre gli occhiali da sole, fatica a sentire ma non interrompe mai gli altri, soprattutto la moglie. Non è mai andato in pensione e mai ci andrà finché avrà un soffio di vita. E fino all’ultimo non ha smesso di occuparsi dei suoi prodotti, della sua azienda, fedele alla sua regola di una vita, il rispetto dei consumatori: «La Valeria è sacra, devi studiarla a fondo, con attenzione e non improvvisare mai. Bisogna avere fiuto ma anche fare tante ricerche motivazionali». 









Non parlava mai con i giornalisti e non si ricordano interviste o conferenze stampa, la riservatezza, con la fede religiosa e l’amore per la qualità sono state le cifre della sua esistenza.  aveva detto chiaramente a Calabresi che avrebbe parlato volentieri della sua vita e del suo lavoro ma a patto di non vederla pubblicata sul giornale la mattina dopo.  Le parole del  racconto rilasciato al giornalista sono il modo migliore per ricordarlo, per ricordare un genio del «fare» italiano.








Il genio e la modestia  

«Quando dicono “Michele è un genio”, rispondo facendo finta di aver capito altro: “Sì è vero di secondo nome faccio Eugenio, la mia mamma mi chiamò Michele Eugenio”. Meglio fare così, altrimenti finirei per crederci e per montarmi la testa». Davanti all'elenco dei suoi prodotti afferma: «Quello che amo di più? Certo la Nutella, ma il Mon Chéri è il prodotto degli inizi, quello che mi emoziona ricordare. Era l’inizio degli Anni Cinquanta e andammo in Germania, perché avevo pensato che il mercato del cioccolato dovesse guardare a Nord, dove lo consumano tutto l’anno». Si ferma un attimo, come se si fosse distratto: «Pensi che ancora oggi noi ritiriamo tutto il nostro prodotto di cioccolato all’inizio dell’estate, per evitare che si sciolga, per evitare che la Valeria resti delusa e trovi qualcosa che non è all’altezza. Per evitare che ci associ con qualcosa di sciolto, di rovinato, con qualcosa che non vale la pena comprare. Per questo il trimestre estivo è il nostro periodo peggiore e per questo la missione che tanti anni fa ho dato ai miei figli è quella di colmare il vallo estivo, di inventare prodotti che diano alla nostra produzione e al nostro fatturato un’uniformità tutto l’anno».








Cioccolato e liquore

«Ma dicevo della Germania: quando siamo arrivati era il dopoguerra, un Paese ancora pieno di macerie con i segni del conflitto, triste, depresso, in cui gli italiani erano visti malissimo. Ci consideravano traditori, malfattori e infidi, convincerli a comprare qualcosa da noi era una missione quasi impossibile. Cominciai ad andare dai distributori con l’idea di vendere cioccolatini in pezzo singolo, con dentro il liquore e la ciliegia. Mi dicevano che bisognava fare delle scatole, non degli incarti singoli, perché solo quelle si potevano mettere sugli scaffali dei negozi e quelle si vendevano. Io rispondevo che stavano mesi sugli scaffali e le persone le compravano solo per le grandi occasioni, per fare regali. Io invece pensavo a qualcosa che risollevasse il morale, che addolcisse ogni giorno la vita dei tedeschi: c’era il cioccolato, la ciliegia e c’era il liquore che scaldava in quell’epoca fredda e con scarsi riscaldamenti. Qualcosa che avesse una carta invogliante, elegante, lussuosa, di un rosso fiammante, che desse l’idea di una piccola festa ad un prezzo accessibile a tutti. Insistetti finché non trovai un uomo intelligente che si fece conquistare dalla mia idea. La Valeria tedesca aveva bisogno di essere confortata, di sentirsi bene ogni giorno, di potersi fare un piccolo regalo: poteva funzionare tra fidanzati, tra marito e moglie e non c’era bisogno di aspettare feste o ricorrenze. Poi in inverno feci mettere enormi cartelloni pubblicitari in ogni grande stazione della Germania, con un immenso mazzo di fiori che non sfioriva mai. Per Natale mi misi d’accordo con la Fiat e al centro delle dieci maggiori stazioni piazzai in bella mostra una topolino rossa che avrebbe premiato i vincitori di un concorso legato al Mon Chéri. Fu un successo travolgente e l’anno dopo facemmo le cose ancora più in grande e mettemmo in palio dei diamanti». Un racconto  pieno di entusiasmo, anche se è passato più di mezzo secolo, e di quel periodo ricorda l’entusiasmo insieme al freddo e alla fatica: «Pensi che la fabbrica era in una serie di bunker bombardati…».








Pasqua tutti i giorni

Calabresi gli chiede allora quale è stata l’intuizione che è sembrata più pazza ma che gli ha dato più soddisfazione: «È successo anni dopo, in Italia, quando pensai che l’uovo di cioccolato non poteva essere una cosa che si vendeva e si mangiava una volta all’anno, a Pasqua. Però ci voleva qualcosa di più piccolo, che si potesse comprare ogni giorno a poco prezzo, ma doveva ripetere quell’esperienza e allora ci voleva anche la sorpresa, ma in miniatura. Pensai alla Valeria mamma, che così poteva premiare il suo bambino perché aveva preso un bel voto a scuola, alla Valeria nonna che lo regalava per sentirsi dire: “Sei la più bella nonna del mondo” o alla Valeria zia che riusciva così a strappare al nipotino quel bacio e quell’abbraccio che faticavano sempre a conquistare. Ma così tanto cioccolato poteva preoccupare le mamme, allora pensai di rovesciare l’assunto tradizionale pubblicizzando che c’era “più latte e meno cacao”, quale miglior sensazione per una mamma di dare più latte al suo bambino? Così mi decisi e ordinai venti macchine per produrre ovetti, ma in azienda pensarono di aver capito male o che fossi diventato matto e non fecero partire l’ordine. Poi chiesero a mia moglie Maria Franca se la firma sull’ordine era davvero mia, lei confermò, ma per far partire la cosa dovetti intervenire di persona. Le obiezioni erano fortissime, dicevano che sarebbe stato un flop, che le uova si vendevano solo a Pasqua e allora io sbottai e dissi: “Da domani sarà Pasqua tutti i giorni”». Questo fu il 1968 di Michele Ferrero, la sua rivoluzione, quell’anno partì insieme all’ovetto la linea di prodotti per bambini che conosciamo come Kinder Ferrero.










Primo: innovare

«Ecco cosa significa fare diverso da tutti gli altri. Tutti facevano il cioccolato solido e io l’ho fatto cremoso ed è nata la Nutella; tutti facevano le scatole di cioccolatini e noi cominciammo a venderli uno per uno, ma incartati da festa; tutti pensavano che noi italiani non potessimo pensare di andare in Germania a vendere cioccolato e oggi quello è il nostro primo mercato; tutti facevano l’uovo per Pasqua e io ho pensato che si potesse fare l’ovetto piccolo ma tutti i giorni; tutti volevano il cioccolato scuro e io ho detto che c’era più latte e meno cacao; tutti pensavano che il tè potesse essere solo quello con la bustina e caldo e io l’ho fatto freddo e senza bustina. L’Estathè per dieci anni non è esploso, ma io non mi sono scoraggiato, perché ero convinto che ci voleva tempo ma che l’intuizione era giusta e che la Valeria non sapeva ancora che era quello che aveva bisogno. Ma poi se ne è resa conto ed è stato un grande successo. Un unico rammarico: averlo lanciato solo in Italia, ma mi spaventavano con le indagini di mercato e non vollero portarlo in Francia e così oggi il mercato estero è già pieno di concorrenti. E poi ci inventammo uno scatolino morbido e leggerissimo che era una novità assoluta e la cannuccia…».








«Sa perché ho potuto fare tutto questo? Per il fatto di essere una famiglia e di non essere quotati in Borsa: questo ha permesso di crescere con serenità, di avere piani di lungo periodo, di saper aspettare e non farsi prendere dalla frenesia dei su e giù quotidiani». E poi, quasi a tempo scaduto, continua il giornalista, vuole ricordare una cosa a cui tiene più di tutto, la sua fede religiosa: «Tutto quello che ho fatto lo devo alla Madonna, a Maria, mi sono sempre messo nelle sue mani e lei devo ringraziare. La prego ogni mattina e questo mi dà una grande forza».









Un altro grande successo è rappresentato dai Ferrero Rocher. Nati nel 1982, sono ispirati alla pasticceria mignon e ci sono voluti 4 anni prima che il prodotto venisse lanciato. Michele Ferrero non voleva creare un semplice cioccolatino, ma un prodotto di pasticceria, ricercato ed elegante. Anche la campagna di comunicazione girava infatti intorno al concetto di lusso: chi non si ricorda il languorino della signora con il cappello giallo nello spot storico della pralina?








Anche Pocket Coffee è frutto di un’intuizione geniale. Negli anni ’60 non c’erano ancora i bar negli autogrill, così Ferrero pensò a un prodotto che regalasse energia a chi viaggia e lavora tanto -come i camionisti- che potesse però essere reperibile facilmente. È nata così la pralina al caffè accompagnata dal claim storico “la carica del caffè e l’energia del cioccolato”.








Molto più recente (1990) è il successo del Kinder Bueno: in una confezione, due merendine impacchettate singolarmente. Wafer ricoperti di cioccolato al cui interno una crema alla nocciola (nutella?) avvolge croccanti nocciole piemontesi. Ma perché due merendine? Una non basta? No, o meglio, sì, ma perché non averne una di scorta? Così i due wafer sono imbustati separatamente, uno per adesso e uno per dopo, pensati da Michele Ferrero per i golosi e per le mamme: perché il bambino mangia una barretta, ma la seconda rimane lì nella sua confezione, evitando macchie di cioccolato sulle magliette e conseguenti prematuri lavaggi in lavatrice.








Ma Ferrero non è soltanto cioccolato e nocciole oppure thè ci sono anche le mentine: le tic tac esistono dal 1969 e in pochi sanno che la produzione si divide tra Italia e Irlanda. Il nome è onomatopeico e deriva dal rumore delle caramelline all’interno della confezione di plastica.








FONDAZIONE FERRERO

«Il cuore del mondo Ferrero è qui, nella nostra Fondazione, che ogni giorno vi accoglie con gioia, che ha cura di voi affinché siate solidali e abbiate cura degli altri, che alimenta progetti inediti e sempre sfidanti per la vostra crescita personale, che custodisce il vostro straordinario patrimonio di multiformi esperienze e impareggiabile saggezza perché possiate condividerlo con tutti»                                                           
                                                                                                 Michele Ferrero







                      
Da sempre presieduta dalla signora Maria Franca Ferrero, la Fondazione nasce come Opera Sociale nel 1983 da un’idea del Cavaliere del Lavoro Michele Ferrero che la intitola ai genitori e allo zio, fondatori dell’industria dolciaria.
Nel 1991 viene riconosciuta come Fondazione dal Ministero dell’Interno e, nel 2005, il suo ruolo è sottolineato dal Presidente della Repubblica Italiana che conferisce a Maria Franca Ferrero la medaglia d’oro riservata ai benemeriti della scuola, della cultura e dell’arte.








Nel 1983, Michele Ferrero annunciò la costituzione dell’Opera sociale con queste parole:
«Ho maturato il convincimento che il Gruppo Ferrero avrebbe dovuto compiere uno sforzo umano e finanziario per ringraziare tangibilmente i propri anziani, assicurando loro una struttura che, soddisfacendone sempre ed ovunque le necessità materiali e morali, potesse, nel contempo, costituire un centro di attività vitale e durevole».








Nel 1972, la Famiglia Ferrero consegna i primi premi di anzianità aziendale, a tutti quei dipendenti che hanno prestato la loro opera in azienda per 25 anni continuativi – i primi 25 anni della storia Ferrero. Nascono formalmente allora gli «Anziani Ferrero», una comunità di persone che trova oggi la sua espressione più utile, gratificante e compiuta nella Fondazione Piera Pietro e Giovanni Ferrero.








Sicuramente un grandissimo imprenditore che ha saputo mettere a frutto
la lezione di Adriano Olivetti e che mi piace ricordare con le parole di questo breve articolo
a firma Andrea Calcinati che ho trovato per caso effettuando le ricerche per questo post








Michele Ferrero, un uomo di Langa

Premesso che io non sono di Alba, di Asti o di Bra, o di qualunque altro comune langarolo, e soprattutto premesso che non sono solito scrivere di cronaca.

Oggi mi trovo, per motivi di lavoro, ad Alba e precisamente a due passi da piazza Duomo, dove a breve si svolgerà il funerale di Michele Ferrero (patron della Ferrero e padre della Nutella per capirci). Perché scrivo? Perché sono letteralmente senza parole nel vedere la partecipazione a questo funerale: tutta questa gente, a centinaia, a migliaia, e forse anche qualcosa di più. E non parlo di autorità, politici e star del momento. Parlo della gente comune, di operai, di ex-operai, di giovani (tantissimi giovani!) e vecchi, negozianti e contadini, tanti, tantissimi contadini. Uomini delle campagne, agricoltori, allevatori e così via. Li riconosci da come stanno in piedi, seduti o appoggiati, che non sono abituati a questo genere di eventi, col vestito della domenica che non gli sta comodo addosso, troppo (o troppo poco) usato negli anni. Ma sono qui, sono tutti qui: aspettano pazientemente, da ore, al gelo, senza dire una parola, composti e in silenzio, come era nel suo stile, per salutare il loro vecchio condottiero.
È lo spirito della terra, delle sue vigne e dei suoi noccioli, che si intravede nei pantaloni un po’ impolverati, nelle facce consumate dal freddo e dal sole, nelle mani un po’ callose e nella fierezza degli occhi e degli sguardi di chi sa cosa vuol dire “terra”.
E lo sapeva bene, Michele Ferrero, lo sapeva bene. Ha creato un impero, fondando le sue più intime e profonde radici nel cuore delle Langhe, tra le colline e i noccioli, nel cuore di questi uomini e queste donne.
Guardando queste persone, questi volti, non mi serve altro. Non mi serve nemmeno voltarmi verso la chiesa, verso il feretro, per capire chi fosse, non l’industriale, non il miliardario, ma l’uomo.
Andrea Calciati








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L'unghiata di Antonella



Sono Piemontese e come tale grata alla Ferrero che come si sul dire " tiene in piedi mezzo
Piemonte", però non posso fare a meno di notare che a tanta " filosofia ", a tanto pensare alla " Signora Valeria" che è poi anche una mamma non corrisponde un prodotto
altrettanto curato nella sua composizione.


La Nutella è un mito. L'immagine che la Ferrero è riuscita a costruire intorno a questo prodotto è incredibile: nell'immaginario popolare la Nutella è un prodotto irraggiungibile, unico. È non potrei di certo affermare il contrario, mi interessa invece spiegare il perché di questa unicità.
L'unicità della Nutella non è (purtroppo) dovuta alla qualità del prodotto, ma al rapporto qualità/prezzo e (soprattutto) dalla pubblicità. Moltissimi tentativi di imitazione falliscono miseramente non perché la Nutella sia irraggiungibile dal punto di vista della qualità, ma perché nessuno riesce a produrre qualcosa di altrettanto appetibile allo stesso prezzo. Da non trascurare il fatto che la Nutella ormai sia, nell'immaginario popolare, il leader assoluto e tutte le imitazioni vengono viste come inferiori, a prescindere dal gusto. Il consumatore, cioè, è abituato al gusto della Nutella e vuole solo quello, considerando inferiore qualunque prodotto che abbia un gusto diverso (anche se il gusto è migliore).
Per dimostrare questo voglio presentare un prodotto (sconosciuto ai più) qualitativamente superiore: la
 la crema spalmabile Novi.


NUTELLAINGREDIENTICREMA NOVI INGREDIENTI
Nutellazucchero, olio di palma, nocciole (13%), cacao magro (7,4%), latte scremato in polvere (6,6%), lattosio, siero del latte in polvere, emulsionante: lecitina di soia, vanillina.
kcal: 533 Carboidrati: 57 Proteine: 6.5 Grassi: 31
Crema spalmabile Novinocciole (45%), zucchero, cacao magro (9%), latte scremato in polvere (5%),burro di cacao, emulsionante lecitina, aromi
kcal: 538 Carboidrati: 42.7 Proteine: 11.7 Grassi: 35.6


Basta confrontare gli ingredienti per capire che la crema spalmabile Novi è nutrizionalmente e qualitativamente superiore alla Nutella, i motivi sono tantissimi : quantità delle nocciole 3 volte superiore, quantità dello zucchero inferiore, Il grasso delle nocciole (naturale e benefico, poichè contiene grassi mono e poliinsaturi e svariati micronutrienti benefici), è sostituito dall'olio di palma (dal 2014 obbligatorio indicarlo in etichetta, prima erano indicati i generici "oli vegetali"). L'olio di palma è sicuramente un olio raffinato, e contiene una percentuale di grassi saturi molto elevata.
Queste differenze si ripercuotono in modo decisivo sul costo. Infatti l'olio di palma presente nella nutella in percentuale molto elevata (circa il 19%), costa svariate volte meno delle nocciole. I grassi della crema spalmabile Novi sono solamente quelli delle nocciole (ricordo che le nocciole contengono il 64% di grassi). Il burro di cacao è un'altro ingrediente piuttosto costoso assente nella Nutella.
Quando acquistate un barattolo di Nutella, state comprando un prodotto più a base di olio di palma che non di nocciole, e molto probabilmente una buona parte dei soldi che spendete va a finanziare le campagne pubblicitarie della Ferrero (e non l'acquisto di nocciole).




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Vi invito a visitare il blog di Audrey  ( autrice del bellissimo wall d'apertura e di quello qui sotto )
 dove potete continuare a leggere
l'avvincente vita di questo grande imprenditore italiano





( Fonti Web, La Stampa - Mario Calabresi, Francesco Paola Fulcis
Chiara Michelis)
( Immagini dal web )

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lunedì 28 settembre 2015

Museo del Territorio / Biella: Bernini, Bassano, Mengs dipinti da palazzo Chigi in Ariccia ed altre raccolte




La mostra che la Città di Biella ospita presso il Museo del Territorio Biellese presenta una raccolta di quaranta dipinti, provenienti da Palazzo Chigi di Ariccia, dalla Fondazione Marignoli di Spoleto e dalla Fondazione Amata, dal ‘500 al ‘700, del momento più drammatico e doloroso della vicenda terrena di Gesù e accompagna pressoché per intero l’estate della Passione di Sordevolo che da duecento anni si svolge in valle Elvo.








Il curatore della mostra è Francesco Petrucci, docente di storia dell’arte, architetto specializzato in restauro e conservazione e conservatore del Palazzo Chigi di Ariccia, dalla cui collezione proviene la maggior parte delle opere che saranno esposte nella mostra biellese. Le opere sono una descrizione in forma artistica di alcuni dei momenti principali della Passione di Cristo, dalla sua prefigurazione biblica al culmine della crocifissione e del successivo compianto, fino alla gloria celeste della risurrezione che redime l’umanità. Per l’occasione è stato inoltre costruito, da Alessandra Montanera e Simone Riccardi, un itinerario di visita attraverso una decina di opere presenti sul nostro territorio che toccano lo stesso tema.








La mostra ideata da E20Progetti e Glocal Project Consulting, ha il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Biella, ed è il completamento storico-artistico del grande evento di Sordevolo in una visione sinergica di eventi e promozione territoriale.







La rappresentazione degli episodi della Passione di Cristo nel suo svolgimento cronologico, secondo la descrizione comparata dei Vangeli, ha fornito sicuramente il tema principale dell’arte occidentale per molti secoli. Tale illustrazione figurativa ha conosciuto un particolare impulso attraverso la devozione a San Francesco d’Assisi e lo sviluppo della tradizione francescana, che ha codificato il rito della Via Crucis, a partire dal XIV secolo ed in particolar modo tra Cinquecento e Settecento. Un ulteriore sviluppo è avvenuto con la predicazione del francescano San Leonardo da Porto Maurizio (1676-­‐1751) e la diffusione di immagini legate alle stazioni della via Crucis.








I maggiori artisti italiani tra Rinascimento e Barocco hanno dedicato straordinarie opere creative incentrate su alcuni momenti della “Passione”, da Michelangelo, a Raffaello, Tiziano, Caravaggio, Rubens, Bernini e tanti altri, fino a Tiepolo. La mostra si pone come complementare alla “Passione di Cristo di Sordevolo”, affiancando l’imponente rappresentazione sacra biellese con un’esposizione di dipinti incentrati sul medesimo tema, che saranno in esposizione per buona parte dell’evento drammaturgico, da luglio a settembre.









Viene proposta una selezione di quaranta dipinti, tra ‘500 e ‘700, in gran parte provenienti dal Palazzo Chigi in Ariccia (Roma), costituente una delle più importanti dimore storiche romane, sede del Museo del Barocco. Altre opere provengono dalla prestigiosa The Marignoli di Montecorona Foundation e da una importante collezione privata inglese. Le opere, tutte di notevole qualità, sono ordinate seguendo alcuni dei momenti principali della “Passione di Cristo”: dalla sua prefigurazione biblica, al culmine drammatico della crocifissione e del successivo compianto, fino alla gloria celeste del Salvator Mundi, motivo di redenzione dell’umanità.








Tra le opere esposte figurano dipinti di cultura michelangiolesca, come la migliore versione della celebre Orazione nell’Orto di Marcello Venusti e una straordinaria Deposizione di Jacopino del Conte, un’inedita Crocifissione firmata da Leandro Bassano, un giovanile Cristo flagellato confortato da un angelo del genovese Bernardo Strozzi, cui si affiancano capolavori di alcuni fra i principali artisti del Barocco romano: dal Cavalier d’Arpino, a Pietro da Cortona, Giovan Gaulli Battista detto “il Baciccio”, Ludovico Gimigniani, Francesco Trevisani, Sebastiano Conca, Francesco Mancini, Corrado Giaquinto, Placido Costanzi, fino ad Anton Raphael Mengs, padre del Neoclassicismo. Il misticismo visionario del ‘600 è espresso dalla Crocifissione sul Mare di Sangue, opera ispirata ad una celebre invenzione del Bernini, nota attraverso tre esemplari principali tra cui quello di Palazzo Chigi, che il grande artista volle esporre nella sua camera da letto come motivo di preghiera e meditazione. Tra gli artisti piemontesi figurano Giovan Battista Benaschi, con il Transito di san Giuseppe, opera di forte impatto emozionale e reminiscenza caravaggesca, e Claudio Francesco Beaumont, con una struggente Addolorata confortata da un angelo. 






( Testo di Francesco Petrucci dal sito del Museo del territorio Biellese )




( Immagini dal web )







venerdì 25 settembre 2015

L'arrivo dell'Autunno e la Salsa dell'orto





Finalmente è arrivato l'autunno con la sua eleganza e la sua dolcezza, con i suoi colori
spettacolari, con l'aria pulita e serena, con le sue giornate un pochino più corte ma 
ricche di una luminosità trasparente che in estate manca.









E' arrivato con il carico dei suoi frutti dolci e colorati, mele, castagne, noci, uva,
in particolare io amo l'uva fragola con i suoi grossi acini succosi....








Al mercato però si trovano ancora le belle verdure estive: fagiolini, peperoni, sedano
e così come tutti gli anni domenica, dopo aver fatto la spesa, ci siamo dedicati 
alla preparazione della " Giardiniera " che io amo chiamare " Salsa dell'orto"









Se servita con il tonno diventa un classico tra gli infiniti
antipasti piemontesi ma io la trova splendida anche con i bolliti misti
e con i formaggi, in particolare con le nostre tome.










Sù, coraggio, siete ancora in tempo a prepararne anche voi una bella
scorta per l'inverno, sarà piacevole durante la stagione fredda aprire i vasetti
e sentire il buon profumo delle verdure e gustandole ricordare i giorni, quasi sempre
bellissimi, in cui l'estate cede il passo all'autunno.









Ingredienti


1 Kg. di pomodori ben maturi ( io preferisco usare la  mia passata, in caso fosse
così anche per voi 300gr. di passata )

1 hg. di fagiolini verdi
1 hg. di carote
1 hg. di cipolle
1 hg. di sedano ( io uso solo il cuore )
1 hg. di peperoni
1/2 bicchiere di aceto di vino rosso
1/2 bicchiere di olio extra vergine di oliva
1 cucchiaio di zucchero
1 cucchiaio di sale








Per prima cosa sterilizzate bene i vasetti.
Se avete deciso di usare i pomodori freschi sbollentateli e pelateli.









Tagliate tutte le verdure a pezzi piccolissimi  e 
trasferiteli in una grossa pentola.









Aggiungete la vostra passata o i vostri pomodori,
l'aceto, olio, il sale e la zucchero e mescolate bene.









Mettete sul fuoco e lasciate cuocere, con il coperchio, a fuoco medio per circa due ore
da quando inizia a bollire avendo cura di mescolare ogni tanto.














Intanto preparate i vostri vasetti, io uso sempre quelli
della Bormioli ma va bene qualsiasi vasetto l'importante è che la chiusura
sia ermetica e che si crei il sotto- vuoto.









A cottura ultimata riempite i vasetti e chiudeteli ermeticamente.








Io mi diverto sempre molto a sentire i colpi del sotto vuoto che si forma!
Ed ecco la nostra  scorta per l'inverno pronta da riporre in cantina









Un consiglio: se decidete di usare la passata diminuite drasticamente la
quantità di sale, se poi risultasse insipida farete in tempo a salare prima della fine della cottura.
Per la produzione di 12 kg di salsa io ho moltiplicato tutti gli ingredienti per 15.















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Piemontesità

Piemontesità
" ...ma i veri viaggiatori partono per partire, s'allontanano come palloni, al loro destino mai cercano di sfuggire, e, senza sapere perchè, sempre dicono: Andiamo!..." ( C.Boudelaire da " Il viaggio")