mercoledì 30 luglio 2014

Un uomo, un cane, un film








L'altro giorno, nella noia di una stagione che non permette passeggiate
ed escursioni in montagna girellavo svogliatamente si internet
e mi imbatto in queste immagini, che forse avranno fatto infuriare tanti animalisti
ma che io trovo bellissime e secondo me testimoniano la grande 
amicizia tra uomo e cane.








Lui è Chris Naka, giovane americano che durante le pause di lavoro ricrea le scene 
dei film con Wrigley, la cagnolina del suo capo, nei panni delle protagoniste femmili!
Stessa ambientazione, stesse luci, tutto uguale, tranne nel fatto che
 l’altro soggetto della coppia è un cane.








C'è la scena romantica di Ghost con la creazione del vaso di terracotta








E chi non ricorda la mitica scena del Titanic, con Jack e Rose sulla prua
 del transatlantico più famoso del mondo, e lui che sostiene le braccia a lei, 
sporta a vedere l’oceano sottostante.








e lo spogliarello della sexy signora Robinson davanti all’allibito 
Dustin Hoffman de “Il laureato”








o l’abbraccio dei due cowboy in Brokeback Mountain,








La carrellata prosegue con Dirty dancing ( foto 1 ) e poi 
 Le pagine della nostra vita ( foto 2 ) e Un compleanno da ricordare ( foto 3 )
e poi Spidermann.







E a seguire Top Gun









E ancora Hunger Games









E infine Non per soldi ma per amore








E poi come poteva mancare lui,
Ryan Goslyng?








 Non manca niente in questa panoramica di momenti topici del cinema internazionale, 
dove la novità è che uno dei due protagonisti… è a quattro zampe.
Io non ho dubbi su chi sia più bravo, e voi?

lunedì 28 luglio 2014

Il simbolismo dei miei viaggi




“Nei simboli si osserva un vantaggio nella scoperta
 che è maggiore quando esprimono concisamente l'esatta natura di una cosa 
e nel contempo la raffigurano; allora infatti la fatica del pensiero è fantasticamente ridotta.”
 Leibnitz



Questo mese Il senso dei miei viaggi è ideato e gestito da Audrey autrice del blog 
Borderline
la citazione di Leibniz, che leggete qui sopra, e il suo modo per presentarci
uno tra i più stimolanti argomenti che questa iniziativa ci abbia mai portati a considerare:


" Il simbolismo dei miei viaggi "



Il viaggio stesso è, a mio parere, uno dei più grandi simboli appartenenti all'umanità
intera, il viaggio inteso come simbolo del viaggio della vita e in particolare il viaggio che la mente
 e lo spirito dell'uomo compiono percorrendo la propria vita. Un viaggio meraviglioso e drammatico che intraprendiamo quotidianamente e che quotidianamente ci fa crescere in esperienza e cultura fino a diventare 
le persone che siamo, uniche ed irripetibili.
E che cosa sarebbe il grande viaggio della vita se all'interno di esso ogni tanto non facesse capolino anche la fantasia e con la fantasia il sogno?
Il sogno che ci aiuta a superare momenti difficili, il sogno in cui la fantasia gioca con la mente
e crea suggestioni e storie e paradossalmente certezze a cui ci fa tornare con la mente quando
abbiamo bisogno di " Isole Felici "
E questo viaggio è pieno di simboli, quelli comuni a tutta, o quasi, l'umanità: 
la colomba che simboleggia la pace,
la spirale che simboleggia la sequenza dei numeri di Fibonacci, l'albero di Natale,
le fedi matrimoniali a rappresentare simbolicamente il matrimonio, simboli che nascono dalla cultura
dei popoli
e poi i simboli che ognuno crea per se stesso, per rappresentarsi o rivivere qualche cosa di importante,
tutti noi abbiamo una simbologia personale e sicuramente il viaggio è un momento in cui la mente 
è quasi più disposta a creare nuove simbologie e con esse nuovi sogni e fantasie


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La pietra su cui appoggiano le mie radici
( Pescopagano e la Basilicata )



Per tanti anni mio marito ed io abbiamo trascorso parte delle nostre vacanze in Basilicata, 
nel paese d'origine di mio papà, Pescopagano.
Durante uno di questi viaggi sono casualmente passata davanti la casa che era stata dei miei nonni,
dove erano vissuti loro, i miei zii e, ovviamente mio papà fino al momento, negli anni '50,
della loro partenza per l'Argentina. Non conosco dopo la sua vendita che vicissitudini abbia
avuto la casa, resta il fatto, che è rimasta gravemente lesionata durante il sisma che ha colpito l'Irpinia.
Bene, sono passata davanti a questa casa e ho visto, con piacere che erano iniziati i lavori di ristrutturazione,
e, per la prima volta l'ho guardata con attenzione ed ho visto quello che non pensavo mai di vedere, quello 
che è diventato il più grande simbolo della mia vita...ho visto il portale in marmo su cui era inciso
il nome e il cognome del nonno e l'anno di costruzione della casa....ho pensato solo a una cosa " lo voglio, lo voglio a qualsiasi costo " Era l'ultimo giorno di vacanza, stavo partendo per tornare a casa ed ero disperata...
Un pensiero fisso: " Lo distruggeranno, cosa se ne faranno mai di un portale con inciso il nome di un'altra 
persona...sì. lo distruggeranno " Ho mosso mari e monti, telefonate, fax, contatti che con tutta 
probabilità i nuovi proprietari non capivano nemmeno...e qualche giorno prima di Natale il lastrone di marmo
è arrivato a casa mia...ora, restaurato a dovere, è un tavolo davanti ai divani ma è molto di più, simboleggia la famiglia, sono le mie radici che sono andata a riprendermi in uno sperduto paesino del sud e che mi sono 
portata qui in un altrettanto sperduto paesino del nord. Quella pietra è mio nonno, mia nonna,
i miei zii che non conosco di persona ma che ci sono, è il mio papà...quella pietra è il simbolo della vita di
una famiglia.








" La vera vocazione di ognuno è una sola,
quella di conoscere se stessi "
( H.Hesse )



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I bicchieri da cui beviamo serenità
( Arezzo )




Durante i nostri vagabondaggi attraverso l'Italia, un anno, ci siamo fermati per alcuni giorni 
ad Arezzo, viaggio di cui ho già avuto modo di parlare nel corso di questa iniziativa,
e ricordo che già allora scrivevo che questo viaggio potrebbe essere definito il viaggio perfetto,
noi eravamo in stato di grazia, il tempo splendido, la città meravigliosa, una disposizione d'animo giusta,
quella disposizione che solo i lunghi viaggi in macchina riescono a darci.
Ed è durante questo viaggio che mio marito ed io ci siamo incantati davanti alla vetrina di un antiquario
a guardare dei bicchieri...e a sognare davanti a quella meraviglia di cristallo.
Siamo entrati nel negozio e...toccarli ed innamorarsi è stata una cosa sola...non so come ma da quei bicchieri bevevamo serenità...quella serenità che poi ti resta dentro e che ti fa star bene per tanto tempo
anche se non riesci a capire il perchè... forse una magia!
Siamo usciti dalla bottega con il pacchetto dei bicchieri in mano...
Ora non sto a dilungarmi sul significato simbolico del bicchiere in sè e sul significato che in particolare la psicoanalisi affida a questo oggetto...io so che da quel momento quei bicchieri per noi sono diventati
il simbolo della perfezione della vita di coppia, ogni volta che c'è un dissidio, uno screzio, un problema...
il modo per far ritornare la calma, per tornare a vedere le cose nella giusta prospettiva è bere...serenità dai bicchieri di Arezzo, quasi celebrassimo un rito segreto ed esclusivamente nostro
 usando un nostro, e solo nostro, particolare simbolo








" L'occhio non vede cose ma figure di cose
che significano altre cose "
( I.Calvino )



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" Il Tempo Ritrovato " e la conoscenza di me stessa
( Tra Basilicata e Puglia sulle tracce di Federico II )



Il tempo ritrovato non è solo il titolo dell'ultimo libro della grande opera di Proust
Alla ricerca del tempo perduto,
e nemmeno, più modestamente, del mio blog, Il tempo ritrovato è anche il nome della mia casa.
Pensandoci adesso mi accorgo che io sul blog non scrivo mai delle mia più grandi passioni e, stranamente,
questo post mi ha portata a citarle tutte e due: la psicanalisi e l'imperatore Federico II...
Era l'anno in cui avevamo comperato questa casa, la ristrutturazione era appena iniziata...era, ed è,
la casa dei miei sogni...non è la casa dove sono nata ma è una vecchia casa ed ha tutte le caratteristiche
che io cercavo, tante scale di pietra, tanto ferro battuto, un piccolo cortile un po' appartato,
un bosco alle spalle, le montagne davanti alla finestra...all'epoca non ci si arrivava nemmeno in macchina...
era ed è una casa dove il silenzio e la pace sono frequentatori abituali, una casa in cui è facile ritrovare il proprio tempo perduto e anche il tempo perduto della casa stessa,  ristrutturandola e
restaurandola con calma e pazienza ascoltando lei e non noi...
Quell'anno il nostro consueto viaggio verso il sud era tutto incentrato su Federico II e così ogni mattina
lasciavamo Pescopagano per seguire le tracce del grande imperatore. Quelle della Basilicata, Pescopagano stesso, erano le zone di caccia predilette da Federico i castelli dell'imperatore sono tantissimi Pescopagano , Lagopesole  ( il castello in cui lo Stupor Mundi scrisse il suo Trattato sulla Falconeria, ad oggi ancora insuperato ). Quelle della Puglia sede dei più grandi e affascinanti castelli federiciani, uno su tutti
Castel del Monte, il più misterioso ed esoterico dei castelli del Puer Apuliae...
Bene, durante questi vagabondaggio a seguito della corte dell'Imperatore ci siamo ritrovati in un vicoletto
del paesino di Calitri ( Sul confine tra la Campania e la Basilicata ) e abbiamo scoperto una bellissima e antichissima bottega dove due fratelli lavoravano in modo squisito la ceramica. In macchina stavamo proprio dicendo che prima di andarci ad abitare avremmo dovuto trovare un nome per la nostra casa,
un nome che fosse anche il simbolo di quello che per noi avrebbe dovuto rappresentare...un posto dove
avere il tempo per conoscere noi stessi...dove il tempo passato e dimenticato potesse agevolmente 
tornare alla mente...ed ecco  " Il tempo ritrovato ", ed ecco l'idea di far realizzare dai due fratelli
la targa che c'è all'entrata della nostra casa...Le vacanze sono finite ed a Novembre è arrivato il corriere 
con la cassa che conteneva l'oggetto che sarebbe poi diventato il simbolo della nostra vita...






" E poi ho capito che dovevo conservare un posto immacolato
dove non avrei mai più potuto mettere disordine.
Dentro di me "
( A.Bacci )



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 " E pensavo, dondolato dal vagone "cara amica il tempo prende il tempo dà... 
noi corriamo sempre in una direzione, ma quale sia e che senso abbia chi lo sa... 
restano i sogni senza tempo, le impressioni di un momento, 
le luci, nel buio,  di case intraviste da un treno: 
siamo qualcosa che non resta, frasi vuote nella testa e il cuore di simboli pieno..."
( F.Guccini, Incontro )




Con questo post partecipo all'iniziativa

Il senso dei miei viaggi

questo mese gestita da Audrey autrice del blog





















sabato 26 luglio 2014

Lo " scciattamaio " e dieci giornate genovesi





Alcuni anni fa ( diciamo pure vent'anni fa! ) la mia cara amica P. ha subito un grave intervento
chirurgico e, come è facile immaginare, necessitava di un periodo di tranquillità  e riposo.
All'epoca mia papà aveva un appartamento a Genova,  quale posto migliore
per riposare, leggere, concedersi qualche piccola passeggiata lungo il mare?







E così, siamo partite per una decina di giorni che avrebbero dovuto essere
di assoluto riposo.
Appena i nostri mariti se ne sono andati, dopo essersi raccomandati di non strafare,
che dovevamo fare una vita da convalescenti e via discorrendo, noi in tempo zero con tacchi a spillo
e jeans aderenti eravamo pronte a partire alla conquista dell'antica città marinara...
naturalmente partendo dal porto e dalle un po' chiacchierate vie limitrofe.








Naturalmente da quel momento tutte le raccomandazioni di medici e mariti
sono svanite e abbiamo cominciato a viverci la città che di giorno visitavamo nella sua imponente
bellezza, non per niente Genova è detta la Superba,  ed era un susseguirsi di mostre
musei, e anche negozi,  e la sera ci offriva spettacoli teatrali
( in quell'occasione ho avuto modo di conoscere Massimo Ranieri che all'epoca recitava a 
Genova in Liolà di Pirandello ) e ristoranti sul mare.












L'ultima sera di permanenza in città la mia amica ha voluto offrirmi una cena speciale
nel famoso ristorante Zeffirino dove, essendosi lei  presentata  come ristoratrice, 
siamo state accolte in modo splendido. Onestamente della cena ricordo ben poco (ne sono passati di anni ),
resta, invece, come ricordo il libro che il gentilissimo proprietario ci ha regalato
prima di salutarci e da cui ho copiato ed un po' aggiustato a mio gusto questa tipica ricetta genovese.
Inutile dirvi che ogni volta che cucino questo piatto il pensiero corre a quelle dieci giornate genovesi.












Ingredienti


1 kg. di zucchine ( la ricetta originale prevede i fagiolini, ma l'orto della vicina 
sta producendo tante zucchine e quindi si fa di necessitò virtù )
500 gr di patate
3 uova
100 gr di Parmigiano
250 gr. di stracchino 
origano
aglio
prezzemolo
olio extra vergine d'oliva
pane grattato
sale e pepe.








Preparate un soffritto con l'olio, l'aglio, il prezzemolo e l'origano
e mettete a cuocere la verdura precedentemente tagliata.
Mettete a cuocere le patate ( io uso la vaporiera )
Intanto in una terrina sbattete le uova con lo stacchino fino ad ottenerne una crema.








La ricetta in realtà prevede l'uso della  "prescinseua " formaggio tipico
dell'entroterra genovese e ormai quasi introvabile anche in Liguria.
Un amico Genovese mi ha suggerito la sostituzione con lo stracchino.








Passate le patate al passa verdure a aggiungetele alla
crema di uova e formaggio.








quando il tutto sarà diventato ben omogeneo aggiungete
il Parmigiano grattugiato.








A questo punto aggiungete le zucchine con il sugo di cottura
e mescolate bene, salate e pepate a vostro gusto.








Passate tutto in una teglia che avrete precedentemente oliato.
Livellate il composto, cospargete di pane grattato e passate ancora un filo d'olio.
Infornate, in forno già caldo, a 180° per circa tre quarti d'ora.








 "Più di un secolo fa Genova era già un grandissimo centro: disordinatamente cresciuto
e senza le odierne grandi cornici alberate, conservava ancora intatta una poesia a noi del tutto
sconosciuta., che attingeva anche in quell'arcano aprirsi degli orti verso i grandi spazi e 
le grandi ricche dimore di Porta Pila.









Nei mercati vocianti e dai mille richiami, all'ombra delle vecchie mura, in Sarzana, in Ponticello,
o in " ciassa da Nunzià", le massaie, a fine settimana, si davano da fare per procurarsi 
gli elementi indispensabili ad una eccelsa infornata, quella dello 

" scciattamaio "

una sorta di polpettone solido, sostanzioso, carico di fresco sapore e che sarebbe
stato il viatico - assai atteso - del giorno di festa.







Questa preparazione, un po' la capostipite di tutti i polpettoni genovesi, veniva anche
famigliarmente definita  " scarbassa ": questa era propriamente la cesta di vimini per someggiare
e chissà se l'assimilazione quasi affettiva non fosse stata suggerita da meriti acquisiti 
dal provvidenziale polpettone  ( atto a conservarsi per più giorni ) nel lavoro dei campi ed 
anche in difficoltosi tempi di brevi o lunghe migrazioni.













Che poi questo cibo, certamente per molto tempo considerato
piatto unico, fosse sufficiente a nutrire fino a sazietà, lo potrebbe confermare una tipica locuzione
dalla medesima radice, obsoleta, ma assai colorita ed espressiva;
" A scciattapansa ", a crepapelle.
( da Mandilli de Saea, Franco Accame )








Gustatelo tiepido accompagnato da una fresca insalata di pomodori 
condita con olio extra vergine d'oliva e basilico.
Un consiglio, provatela in versione " invernale " con i porri...uno spettacolo!



































mercoledì 23 luglio 2014

Tra te e me: Il Nero e l'Argento, Paolo Giordano





Oggi Audrey ed io abbiamo l'immenso piacere di annunciarvi la nascita di 

" Tra te & me "

la nostra nuova rubrica dove, quando ce ne sarà l'occasione, scriveremo di libri, di musica, di cinema
e di molti altri argomenti, A differenza di Fatterellando qui non si tratta di una lavoro
 di approfondimento scritto a quattro mani 
ma si tratta di esporre due differenti punti di vista sullo stesso argomento senza confrontarci 
preventivamente, anzi rimanendo rigorosamente all'oscuro del pensiero dell'altra.
Un modo divertente e simpatico per vedere come due persone amiche ma molto diverse
per provenienza geografica, età,  idee e studi possano scoprire dove realmente sono differenti e dove inaspettatamente si assomigliano molto.
 Anche tutti voi siete invitati ad esprimere la vostra opinione e a dirci a chi delle due assomigliate di più.












Narrativa funeraria. Non per essere dissacratori ma l'ultimo romanzo di Paolo Giordano 
suggerisce abbinamenti cromatici di casse da morto, corri funebri e paramenti luttuosi.
Ed è un libro cupo dove ad ogni pagina aleggia lo spettro dello scacco esistenziale
Storia di un nucleo famigliare che fin dalla sua costituzione ruota intorno alla figura di una domestica /
balia / cuoca dai modi spesso bruschi ma dalle grandi capacità pratiche.
Una buona metà del libro è dedicata alla malattia della donna e al suo lento e doloroso declino
L'Io narrante senza nome è un ricercatore di fisica ( come lo stesso Giordano ), un uomo che ha con 
la materia il rapporto freddo e analitico dello studioso. Del matematico. Numerosi i riferimenti alla teoria dei gruppi e all'algebra nella sua " sfacciata bellezza ". Ed è proprio con il tono distaccato dello studioso
che l'autore racconta anche i dettagli più sgradevoli del calvario della protagonista: la chemioterapia, il vomito,, la caduta dei capelli, il disfacimento della carne. Ce n'è abbastanza da far rabbrividire anche il lettore più insensibile. Ecco, appunto: rabbrividire; ma l'intento di un'opera d'arte non dovrebbe essere anche quello di commuovere? E' qui che sembra che Giordano abbia perso un'occasione, forse per non suonare retorico finisce per irrigidirsi nella disperazione.
Il libro è scritto bene, fin troppo, nel senso che la lingua è precisa e algida. Non c'è mai un registro colloquiale, neppure nei dialoghi, mai un abbassamento di tensione. Ci sono sentenze lapidarie come
" La fine non ci risparmia neppure la più esile delle colpe, la più innocente delle mancanze. ". 
Oppure "Basta arrendersi una volta per scoprire di non possedere più il coraggio necessario ".
Lungo tutto il testo fluisce in sottofondo il rumore dell'intelligenza di chi scrive. Ma anche il senso 
di malessere, per non dire disperazione. Il personaggio della signora A. ( la domestica mai nominata con il suo nome ma sempre come signora A. ) a mano a mano che si delinea attraverso i flashback di
memoria del narratore, assume contorni sempre più inquietanti. Che cosa faceva il marito con i ritagli di giornale che accumulava, riferibili a bizzarre teorie complottiste? Chi era l'amico pittore nano e donnaiolo?
Il fatto è che sono tutti morti.Il lettore incontra poi un fitto simbolismo. L'uccello del paradiso per esempio; un volatile dal piumaggio esotico che ogni tanto appare non si sa da dove ( siamo nei dintorni di Torino )
e annuncia, indovinate un po', la morte di qualcuno. Un uccello del malaugurio insomma.
Quel po' di vita che finalmente Giordano ci concede sembra risiedere nella figura di Emanuele, il 
bambino che non capisce l'aritmetica e chiama la domestica Babette, con il soprannome che le è stato affibbiato per una certa corrispondenza con la sua omologa del film " Il pranzo di Babette ".
Al bambino spetta pronunciare anche l'ultima parola del libro, il nome, finalmente completo, della
signora A., sulla sua tomba. Il cerchio si chiude nel massimo rigore, che è anche rigor mortis.







Il nero  e l'argento, un intervista per due


1-Come e perchè ti sei avvicinata a questo autore contemporaneo?


Audrey: La prima volta che ho sentito parlare di Paolo Giordano è stato qualche anno fa al tg, aveva appena vinto il premio Strega, era euforico ma contenuto e, ad ogni sua parola, mi convinsi sempre più che il suo libro mi sarebbe piaciuto. Qualche mese dopo ho acquistato "La solitudine dei numeri primi", un romanzo stupendo che mi ha affascinata e lasciata piacevolmente sorpresa per il suo modo di raccontare, di essere diverso dai soliti autori e per la scrittura scorrevole ma precisa


Antonella:Come sapete non amo molto gli autori contemporanei,
 di Giordano me ne aveva parlato bene mia cognata
e così ho letto " La solitudine dei numeri primi" che è stato una autentica sorpresa in un panorama letterario per lo più piatto Giordano si distingueva sia per le idee che per la scrittura.



2-Paolo Giordano, sino ad oggi, ha pubblicato tre libri: La solitudine dei numeri primi, Il corpo umano e Il nero e l'argento; qual è stata la tua storia preferita e perchè?


Audrey: Non credo di avere una libro preferito, al massimo ho una classifica. I tre racconti sono completamente diversi: come storia, come complessità dei personaggi principali, come sensazioni e emozioni; pertanto mi risulta difficile decretare una sorta di vincitore visto che ognuno ha una serie di qualità che lo rendono particolare ai miei occhi. Ma se devo proprio rispondere vi lascio la seguente classifica: La solitudine dei numeri primi, Il nero e l'argento, Il corpo umano.


Antonella: Sicuramente il romanzo che ho preferito è stato" Il corpo umano ",  qui Giordano abbandona
le atmosfere adolescenziali ed intimiste e presenta un'opera corale,
con molti personaggi, prospettive e punti di vista. Il libro si pone tre grandi e fondamentali domande:
Cos'è la famiglia? Come si diventa un soldato? Che cosa provoca una guerra?



3-Qual è il personaggio che hai odiato di più e perchè?

Audrey: Nora, decisamente lei, il suo egoismo e quella sensazione di amarezza che mi lasciava suo marito parlando di lei. Si, nonostante l'amore del suo consorte, le belle parole, i sentimenti forti, credo di averla odiata all'ennesima potenza

Antonella:Senza dubbio Nora, la moglie dell'Io narrante, fredda, anche un po' scostante,
 non mi piace come gestisce la vita di coppia
 non mi piacciono le sue scelte e non mi piace nemmeno il suo modo 
di essere disponibile verso gli altri ( quando lo è ) con una sorta di condiscendenza che la rende distante.



4-Qual è quello che invece hai amato di più?

Audrey:Ho amato di più suo marito, la voce narrante, la sua fragilità e quel raccontare in maniera delicata, come se, invece di scrivere, maneggiasse un vaso di porcellana. Le sue piccole paure, i suoi strani segreti da essere umano, le fragilità, i dubbi. Ogni volta che svelava qualcosa in più sulla signora A., Nora o Emanuele; mi rendevo conto della complessità del suo carattere. Quello che alla luce dei fatti doveva essere il più freddo e distaccato dei personaggi, a causa della sua forma mentis di stampo matematico, si rivela poi un uomo dall'animo sensibile, delicato e quasi artistico


Antonella:Ma, forse, l'Io narrante, un personaggio un po' chiuso in se stesso a volte inadeguato
ma con una sua particolare sensibilità



5-Ti sei legata particolarmente a uno di questi personaggi? Se si, per quale ragione?


Audrey: Mi sono legata particolarmente alla signora A. Leggendo la sua storia, scoprendola un po' per volta, ad un certo punto, ho capito che aveva conquistato anche me oltre che la sua stramba famiglia. Più andavo avanti e più sentivo lo stesso senso d'abbandono e affetto

Antonella: No


6-Trovami tre parole che descrivano il libro?


Audrey: amaro- delicato- veritiero

Antonella:Cupo, funerario, disperato



7-Secondo te a quale fascia d'età è indirizzato il romanzo?


Audrey: Credo sia adatto principalmente ad un pubblico maturo, questo non vuol dire a gente grande di età, ma a chi ha raggiunto una giusta maturità per coglierlo. Quindi potrebbe leggerlo anche un ragazzo di 16 anni se fosse maturo

Antonella:Secondo me è un libro per adulti proprio a causa della sua cupezza 
e disperazione che anche nel finale
non trova un riscatto pieno


8-Faresti leggere questo libro a scuola?


Audrey: Non inserirei il libro nel programma scolastico ma farei sicuramente leggere il romando in qualche progetto di laboratorio riservato agli studenti di età superiore ai 16 anni

Antonella: No, per gli stessi motivi di cui sopra, bisogna avere una certa conoscenza della vita e
anche una certa esperienza, che solo l'età sa dare, per poter leggere un libro del genere senza esserne
eccessivamente turbati



9-Riportami 2 massimo 3 frasi che ti hanno colpita e fatto riflettere:

Audrey: "Mi manca il modo in cui ci dava coraggio. La gente è cosi avara di coraggio. Vogliono soltanto accertarsi che tu ne abbia meno di loro"
 "La morte ridispone i ruoli secondo un ordine di importanza formale, ricucire all'istante gli strappi alle regole affettive che uno si è concesso in vita, e poco importante che Emanuele fosse quanto di più simile a un nipote la signora A.avesse conosciuto, che a noi, Nora e a me, piacesse consideraci suoi figli adottivi. Non lo eravamo"

"La sua linfa scorre chiara, limpida e copiosa a dispetto di tutto. Sono convinto che la sua vitalità è inesauribile, che nulla, neppure il dolore più definitivo , neppure il lutto più grave  sarebbero in grado di ostacolarla. In fin dei conti, non si è quasi mai felici o infelici per ciò che succede , si è una cosa o l'altra a seconda dell'umore che ci scorre dentro, e il suo è argento fuso, il più nobile fra i metalli, il migliore fra i conduttori, il riflettente più spietato. Il conforto di saperla cosi forte si mescola alla paura di non essere davvero indispensabile per lei e di esserle attaccato, fra gli innumerevoli modi in cui le sono attaccato, come una sanguisuga che succhia la vita altrui, una specie gigantesca di parassita".


Antonella: " Non c'è spazio per il pensiero della morte per chi ha un tale eccesso di vita (...)
Il pensiero della morta è soltanto per chi è capace di mollare la presa, per chi almeno
una volta lo ha già fatto: non è neppure un pensiero forse, è più simile a un ricordo."

" Eravamo, a dispetto delle nostre speranze, indissolubili l'uno dall'altro "








TRAMA

Questa è la storia di Nora, suo marito e loro figlio Emanuele. Una storia fatta di piccioli ricordi, emozioni e dolore misto a felicità. La storia di una famiglia e della signora A., quella che senza volerlo, giorno dopo giorno, è entra nel cuore di tutti prendendosene un pezzetto. La vita di A, vedova fedele, innamorata, genuina; viene ripercorsa attraverso i ricordo di un uomo amante dei numero, delle logiche, delle verità che perde un po' se stesso e l'equilibrio familiare attraverso l'abbandono di chi aveva dato ordine, spazio, tempo e delicata bellezza alla loro quotidianità.








Per leggere le opinioni di Audrey  clicca 
















Piemontesità

Piemontesità
" ...ma i veri viaggiatori partono per partire, s'allontanano come palloni, al loro destino mai cercano di sfuggire, e, senza sapere perchè, sempre dicono: Andiamo!..." ( C.Boudelaire da " Il viaggio")