sabato 29 ottobre 2016

Lieti Calici: Valtellina Superiore, Inferno











Questo post è dedicato al nostro amico Adriano, valtellinese Doc e grande conoscitore di vini, che tanti, tantissimi, anni fa ci ha fatto conoscere ed apprezzare i vini dalla Valtellina e che domenica, quando ci siamo  incontrati, ci ha regalato due pregiate bottiglie di Inferno






 "La forza sconvolgente del vino penetra l'uomo e nelle vene sparge e distribuisce l'ardore” 

(LUCREZIO De Rerum natura)










Carta d'Identità



Denominazione:     Valtellina Superiore4 Inferno Doc

Vitigni principali:   Chiavennasca


Gradazione alcolica minima:   12 °C


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Caratteristiche

Colore:       rosso rubino tendente al granato, talvolta arricchito da riflessi violacei o aranciati.

Odore:        Caratteristico, può essere definito dai toni vanigliati, di fiore appassito e di nocciola e 
                     diventa più armonico nel corso dell'invecchiamento.

Sapore:        Asciutto, leggermente tannico, austero. e al tempo stesso vellutato, armonico, caratteristico; pùò lasciare trasparire un fondo di mandorla tostata.


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Servizio

Temperatura:       18 °C

Abbinamenti:       Primi piatti con sughi di carne di selvaggina da pelo, secondi piatti corposi, 
                               preferibilmente a base di carni rosse lungamente cotte.


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Un tempo sulle colline che si trovano a nord di Milano. allignavano vigneti che davano vita a un rosso poco impegnativo, ma gradevole. Oggi che lo sviluppo industriale ha cambiato volto a tutta  Brianza, facendo scomparire ogni traccia di vigneto, la zona enologica più significativa della Lombardia del Nord e rappresentata dalla Valtellina, in provincia di Sondrio.








Si tratta della valle del corso superiore dell'Adda, orientata da est a ovest, a differenza delle altre valli alpine che vanno da nord a sud.
La Valtellina circondata da alte montagne e caratterizzata soprattutto a pendii scoscesi, non sembrerebbe a prima vista adatta alla produzione enologica. Ma la mancata presenza di dolci rilievi è stata compensata da un secolare lavoro di terrazzamenti che ha permesso alla vite di essere coltivata anche oltre gli 800 metri.










Il vitigno.


L'uva maggiormente coltivata è il Nebbiolo, localmente chiamato Chiavennasca. Per quanto sia ben acclimatato, non si tratta quindi di un vitigno autoctono, considerato che è di origine piemontese. Circa la data della sua importazione vi sono sostanzialmente due ipotesi. La prima sostiene che il nebbiolo giunse in Valtellina nel Medioevo; la seconda posticipa tale data alla fine del Settecento collocandola nel periodo della conquista napoleonica.








I vitigni autoctoni sono detti Pignola, Rossola e Brunola, ma rivestono modesta importanza. Sono coltivazioni marginali, impegnate, come spesso pure il Merlot e il Pinot nero, per completare l'uva chiavennasca nella produzione dei vini valtellinesi.








In merito alla denominazione assunta dal vitigno, alcuni ritengono che sia una derivazione del toponimo Chiavenna, altri invece sostengono che sia stata originata dal dialettale " ciù vinasca ", che significa " più adatta al vino ".









In Valtellina si producono diversi vini a a base di Nebbiolo, tra cui l'Inferno così denominato perchè le temperature raggiunte sui terrazzamenti in cui sono posti i vigneti sono molto elevate; temperature che consentono alle uve una completa maturazione nonostante alcuni filari si trovino anche oltre gli 800 metri.









La Doc



La Valtellina Superiore Inferno ha ottenuto la Doc nel 1968 ed è prodotto in una dozzina di comuni della valle,  più precisamente nella sotto zona corrispondente al tratto di valle delimitato dai comuni di Poggiridenti e Tresivio, a est di Sondrio.









Il disciplinare stabilisce che il vitigno Chiavennesca debba essere impiegato con una quota non inferiore al 95 per cento, eventualmente completato dai vitigni autoctoni sopra ricordati oltre che da Merlot e Pinot nero.









La resa massima dell'uva per ettaro è di 100 quintali; l'Inferno deve avere almeno 12 gradi alcolici ed essere stato invecchiato almeno 26 mesi.
Al momento della commercializzazione presenta colore rosso rubino tendente al granato, talvolta arricchito da riflessi violacei o aranciati.









L'odore, caratteristico, mostra toni vanigliati, di fiore appassito e di nocciola, e diventa più armonico nel corso dell'invecchiamento il sapore è asciutto, leggermente tannico, austero, e al tempo stesso vellutato, armonico, caratteristico; può lasciare trasparire un fondo di mandorla tostata.









Si serve a 18°C di temperatura e accompagna piatti di buona struttura.









Inferno Riserva




Esiste una versione Riserva che deve invecchiare almeno 50 mesi. Si tratta di un vino longevo che può invecchiare lungamente.
Conviene pertanto aprire la bottiglia con largo anticipo prima di servirla, in modo che il vino possa ossigenarsi; in caso di produzioni invecchiate oltre i 5 anni converrà decantare il vino nell'apposita brocca prima di servirlo.









La temperatura di servizio è di solito di 18 °C ma non manca chi preferisce berlo a 20 °C.









L'Inferno Riserva accompagna secondi piatti a base di carne rossa oppure selvaggina da pelo.









Il Valtellina Superiore Inferno in tavola




Il Valtellina Superiore Inferno affianca le produzioni dei Valtellina Superiore Sassella, Grumello e Valgella. Tra questi spicca per il carattere deciso, l'ampiezza aromatica e la salda struttura. Si tratta infatti di un vino rosso che presenta profumi talvolta vanigliati, arricchiti da toni di rosa  appassita e di nocciola e di sapore asciutto.








Come abbiamo visto è prodotto anche nella varietà Riserva, maggiormente invecchiata e, da un punto di vista organolettico, più intensamente caratterizzata. Si tratta pertanto di due tipologie enologiche che,  per quanto accomunate da alcune connotazioni, si prestano a sposarsi con preparazioni assai diverse.









Valtellina Superiore Inferno




Il Valtellina superiore Inferno è un vino corposo che può essere abbinato ad alcuni piatti conditi con sughi di carne di selvaggina da pelo:; secondi piatti robusti a base di carni rosse lungamente cotte.
Localmente viene abbinato ai pizzoccheri, ma la sapidità della portata non eguaglia la corposità del vino.









Risultano più felici gli abbinamenti con paste asciutte condite con salse di selvaggina come i tagliolini al sugo di lepre.








Si serve  con secondi piatti a base di carne rossa brasata o stufata come il brasato di bue; volendo servire carni bianche, si scelgano le cotture al vino rosso, come nel caso del coq au vin.
Si può infine gustare con i formaggi a pasta dura stagionati









Si può pertanto proporre, servito a temperatura di 18°C, con primi piatti quali pennette al ragù d'anatra, bomba di riso al piccione disossato, lasagne al forno al ragù, Pappardelle al brasato di cinghiale, tagliolini al sugo di lepre.








Tra i secondi piatti consiglio il Tapulon, l'anatra in crosta di ricotta, il piccione al cartoccio, il codone di manzo brasato, il muscolo di manzo stracotto.









Valtellina Superiore Inferno Riserva



Il Valtellina Superiore Inferno Riserva è vino munito di salda struttura adatto ad accompagnare piatti particolarmente saporiti.
Proposto a 18 °C di temperatura, si serva preferibilmente con secondi piatti come stufato di cinghiale; spalla di cinghiale in arrosto morto; camoscio in civet, nocette di capriolo in salsa al vino rosso, cosciotto di cervo brasato, lepre in salmì.
Si può inoltre proporre con formaggi a pasta dura particolarmente stagionati.









La ricetta: Risotto ricco alla padovana




Il Valtellina Superiore Inferno accompagna, come abbiamo visto, oltre ai secondi anche primi piatti ben strutturati. Un esempio che esce dalla tradizione gastronomica valtellinese è dato dal risotto ricco alla padovana. Si tratta di un piatto saporito, preparato con carne di vitello, fegatini di pollo, midollo, funghi, cotti con verdure ed erbe aromatiche, pomodoro, vino bianco, brodo, olio e pepe.









La cottura prolungata senza dispersione di sapori, la concentrazione del vino, del brodo, e dei succhi della carne danno vita ad una preparazione dotata di ricco fondo di cottura dal sapore rilevato, che richiede di essere diluito dalla presenza del riso.
Un primo piatto particolarmente ricco di sapori, grazie alla presenza dei numerosi ingredienti ciascuno dei quali partecipa alla formazione del gusto.








Occorrerà pertanto scegliere un vino rosso di buona ampiezza  aromatica, dotato di un buon corredo tannico, ma al tempo stesso vellutato: il Valtellina Superiore Inferno









Ingredienti per 4 persone


350 gr. di riso
250 gr. di fegatini di pollo
100 gr. di carne di vitello a pezzi
50 gr. di burro
30 gr. di funghi secchi
30 gr. di midollo di bue
1 cipolla piccola
1 carota
1 gambo di sedano
vino bianco
1 cucchiaio di concentrato di pomodoro
1 rametto di salvia
olio d'oliva
brodo di pollo
formaggio grana grattugiato
pepe
sale



* Lavate i funghi e metteteli a bagno in poca acqua tiepida. Mondate i fegatini, lavateli, tagliateli a pezzetti. Fate un battuto con cipolla, salvia, carota e sedano. Tritate il midollo, mettetelo in una casseruola con il battuto, metà del burro, un po' d'olio e lasciate rosolare.

* Unite al soffritto la carne e i funghi, dopo cinque minuti unite anche i fegatini, salate e proseguite la rosolatura, bagnate con il vino e lasciatelo sfumare. Aggiungete il concentrato di pomodoro, mescolate e portate a cottura il risotto aggiungendo, a poco a poco, il brodo bollente.


* A cottura ultimata aggiungete il burro rimasto, il pepe, il formaggio grana grattugiato, mescolate, lasciate riposare il risotto per alcuni minuti a pentola coperta e servite




Le strade del vino








Vi invito ora a passare da Audrey per " assaggiare il suo cocktail

Red Lady Inferno for Halloween

a base di Valtellina Superiore Inferno









"E' quell’inferno rosso di brace e fiamma,
che odore infuso di prugne e more emana
e che al Paradiso è meglio preferire".

(abate Morelli nel poemetto Dionisos)


( Grazie a  Audrey per il wall d'apertura e chiusura di articolo
Fotografie dal web )

giovedì 27 ottobre 2016

Il manifesto della cucina futurista






Era il 28 dicembre 1930 quando il quotidiano torinese “La Gazzetta del Popolo” pubblicò a piena pagina il manifesto della cucina Futurista, scritto e meditato da Filippo Tommaso Marinetti.
Poeta e padre spirituale del movimento Futurista, nato nel 1909 per rivoluzionare arte, letteratura, musica, teatro, danza e infine la cucina, le cui teorie rinnegavano gli stili del passato per aderire con forme vive al dinamismo della vita moderna.









I futuristi diedero una scossa a tutte le attività pratiche e intellettuali. I paradossi gastronomici, così come quelli estetici miravano all'evoluzione morale: bisognava scuotere la materia per risvegliare lo spirito. La cucina futurista, espressamente definita da Marinetti come una vera e propria rivoluzione "cucinaria", venne descritta in un manuale con tanto di ricette, menu e suggerimenti per imbandire lussuosi banchetti o per servire originali pranzi.










All’epoca ci si accontentava di poco e l’industria alimentare, salve pochissime marche, era a livello artigianale. A rileggere oggi il manifesto gastronomico Futurista, si intuisce che alcuni dei suggerimenti di Marinetti hanno trovato applicazione. Esempi ne sono l’integrazione dei cibi con additivi e conservanti, o l’adozione in cucina di strumenti tecnologici per tritare, polverizzare ed emulsionare.









Le ricette che apparivano allora rivoluzionarie, anche se in parte erano solo derivate da preparazioni rinascimentali, furono in alcuni casi un’anticipazione della Nouvelle Cuisine all’italiana.
Così, “rombi d’ascesa” era un risotto decorato con spicchi d’arancia, mentre il famoso “cane plastico” era una variante dei polpettoni di carne e verdure con l’aggiunta di miele.









Il cuoco precursore della cucina futurista fu il francese Jules Maincave, che nel 1914 aderendo al Futurismo, annoiato dai «metodi tradizionali delle mescolanze... monotoni sino alla stupidità», si ripropose di «avvicinare elementi separati da prevenzioni senza serio fondamento: filetto di montone e salsa di gamberi, noce di vitello e assenzio, banana e groviera, aringa e gelatina di fragola.









Famosa e impopolare fu la lotta che Marinetti fece contro l’«alimento amidaceo» (la pastasciutta), colpevole di ingenerare negli assuefatti consumatori: «fiacchezza, pessimismo, inattività nostalgica e neutralismo... una palla e un rudere che gli italiani portano nello stomaco come ergastolani o archeologi».









Oltre alla condanna della pasta e all'assoluzione del riso, il Manifesto predicava l’abolizione della forchetta e del coltello, dei condimenti tradizionali, del peso e del volume degli alimenti, e della politica a tavola; auspicando la creazione di «bocconi simultaneisti e cangianti», invitando i chimici ad inventare nuovi sapori, e incoraggiando l’accostamento ai piatti di musiche, poesie e profumi.
I futuristi si impegnarono inoltre a italianizzare alcuni termini di origine straniera: il cocktail divenne così la "polibibita" (che si poteva ordinare al "quisibeve" e non al bar), il sandwich prese il nome di "traidue", il dessert di "peralzarsi" e il picnic di "pranzoalsole".









Il successo maggiore di pubblico e stampa i futuristi lo ebbero con gli “aerobanchetti”, e memorabile fu quello organizzato a Bologna nel ’31. Niente tovaglia, sostituita da foglie di alluminio e piatti di metallo. Tavola a forma di aereo, con al centro delle due appendici raffiguranti le ali, una motocicletta come motore. Dopo la portata “aeroporto piccante”(insalata russa), venne servito “rombi d’ascesa” (risotto con arancia), durante il quale Marinetti proclamò: “voliamo a ottomila metri: sentite come questo nutre e favorisce lo stomaco.” Dai commensali si levò allora una richiesta urlante: “vogliamo il carburante.” S’inneggiava al lambrusco, travasato in latte da benzine. Furono poi anche serviti: “la sveglia stomaco”, “l’alga spuma tirrena” e “il pollo d’acciao” (arrosto ripieno di confettini argentei









La tavola era per il movimento Futurista terreno di sperimentazioni sensoriali molteplici: colori, forme, sapori, odori, abbinamenti.  Nel Manifesto scritto da Marinetti si legge: "Si pensa si sogna e si agisce secondo quel che si beve e si mangia".








7 regole del pranzo perfetto riprese dal Manifesto Futurista.


1. Armonia originale della tavola (cristalleria vasellame addobbo) coi sapori e colori delle vivande.

2. Originalità assoluta delle vivande (abolizione della pastasciutta).

3 . Dotazione di strumenti scientifici in cucina, ozonizzatori che diano il profumo dell'ozono a liquidi
 e a vivande; elettrolizzatori per scomporre succhi estratti ecc.; mulini colloidali per rendere possibile la polverizzazione di farine, frutta secca, droghe, eccetera. L'uso di questi apparecchi dovrà essere scientifico, evitando l'errore di far cuocere le vivande in pentole a pressione di vapore, il che provoca la distruzione di sostanze attive (vitamine, ecc.) a causa delle alte temperature.

4. Abolizione della forchetta e del coltello per i complessi plastici che possono dare un piacere tattile prelabiale.

5. Creazione dei bocconi simultanei e cangianti che contengano dieci, venti sapori da gustare in pochi attimi. Questi bocconi avranno la funzione analogica… di riassumere una intera zona di vita, lo svolgersi di una passione amorosa, o un intero viaggio nell'Estremo Oriente.

6. Uso dell'arte dei profumi per favorire la degustazione. Ogni vivanda deve essere preceduta da un profumo che verrà cancellato dalla tavola mediante ventilatori.

7. Presentazione rapida tra vivanda e vivanda, sotto le nari e gli occhi dei convitati, di alcune vivande che essi mangeranno e di altre che essi non mangeranno, per favorire la curiosità, la sorpresa e la fantasia.








I Futuristi e la Taverna del Santopalato




In una ipotetica, quanto affascinante, toponomastica gastronomico-culinaria del nostro Novecento, Via Vanchiglia 2 a Torino occuperebbe senz'altro un posto di primo piano. Fu in questa strada, infatti, che alla mezzanotte dell'8 marzo 1931 (e fino alle 4 del mattino), in una Torino "seriosa e paludata, alla presenza di artisti, notabili, giornalisti" (Antonella Barina), veniva inaugurato in pompa magna il primo ristorante interamente futurista d'Italia, il cui nome, Taverna Santopalato, venne partorito ovviamente dalla mente vulcanica e geniale del fondatore del movimento d'avanguardia Effe Ti Marinetti.  
 Dopo una febbrile giornata di intenso lavoro nella cucina, dove i futuristi Fillìa e P. A. Saladin gareggiavano con i cuochi del ristorante, Piccinelli e Burdese, nella preparazione delle vivande.. il menù che venne presentato fu questo:



Lista del primo pranzo futurista del Santopalato 


1. Antipasto intuitivo (formula della signora Colombo-Fillìa). 

2. Brodo solare (formula Piccinelli).

3. Tuttoriso, con vino e birra (formula Fillìa). 

4. Aerovivanda, tattile, con rumori ed odori (formula Fillìa). 

5. Ultravirile (formula P. A. Saladin). 

6. Carneplastico (formula Fillìa). 

7. Paesaggio alimentare (formula Giachino). 

8. Mare d'Italia (formula Fillìa). 

9. Insalata mediterranea (formula Burdese). 

10. Pollofiat (formula Diulgheroff). 

11. Equatore + Polo Nord (formula Prampolini). 

12. Dolcelastico (formula Fillìa). 

13. Reticolati del Cielo (formula Mino Rosso).

14. Frutti d'Italia (composizione simultanea). 

Vini Costa - Birra Metzger - Spumanti Gora - Profumi Dory. 




Questa la cronaca della serata come apparve sul quotidiano "La Stampa" in un completo articolo del redattore Dott. Stradella: 

"Nessuno ignora l'interessamento e le polemiche che agitano il mondo intero, per l'annunciata inaugurazione del Santopalato. L'avvenimento assumerà perciò un'importanza eccezionale, la data del quale rimarrà impressa nella storia dell'arte cucinaria così, come indelebilmente son rimaste fissate, nella Storia del mondo, le date della scoperta dell'America, della presa della Bastiglia, della pace di Vienna e del trattato di Versailles". Un annuncio steso press'a poco in questi termini non può essere che squisitamente futurista. Non vi sono che i futuristi, occorre lealmente riconoscerlo, conseguenti, al di là di ogni limite estremo, ai presupposti della loro dottrina. "Pur riconoscendo - ammonisce Marinetti - che uomini nutriti male o grossolanamente hanno realizzato cose grandi nel passato, noi affermiamo questa verità: si pensa si sogna e si agisce secondo quel che si beve e si mangia













Anche gli straordinari menù (30) furono all'altezza dell'estetica e dell'arte futurista, realizzati a mano da alcuni dei maggiori artisti del movimento marinettiano, Depero, Fillìa, Ugo Pozzo, Prampolini, Balla, Oriani fino a Medardo Rosso. All'inaugurazione erano presenti anche non futuristi come i pittori Felice Casorati, Michele Guerrisi e Felice Vellan, lo scultore Alloati ed il critico d'arte della "Gazzetta del Popolo" Emilio Zanzi.














Per chi desiderasse leggerlo riporto qui sotto integralmente il manifesto della Cucina Futurista


Il Manifesto della Cucina Futurista


Una vera e propria campagna per l'affermazione di una tavola avanguardista, con teorie e proposte concrete, prese avvio il 28 dicembre del 1930, quando Filippo Tommaso Marinetti pubblicò sulla Gazzetta del Popolo di Torino il Manifesto della cucina futurista, scritto che venne rilanciato nel gennaio successivo sulla Cucina italiana di Umberto Notari.
cucina futurista
Il Manifesto della Cucina Futurista di Filippo Tommaso Marinetti
Il Futurismo italiano, padre di numerosi futurismi e avanguardisti esteri, non rimane prigioniero delle vittorie mondiali ottenute "in venti anni di grandi battaglie artistiche politiche spesso consacrate col sangue" come le chiamò Benito Mussolini. Il Futurismo italiano affronta ancora l'impopolarità con un programma di rinnovamento totale della cucina. Fra tutti i movimenti artistici letterari è il solo che abbia per essenza l'audacia temeraria. Il novecentismo pittorico e il novecentismo letterario sono in realtà due futurismi di destra moderatissimi e pratici. Attaccati alla tradizione, essi tentano prudentamente il nuovo per trarre dall'una e dall'altro il massimo vantaggio.

Contro la pastasciutta

Il Futurismo è stato definito dai filosofi "misticismo dell'azione", da Benedetto Croce "antistoricismo", da Graça Aranha "liberazione dal terrore estetico", da noi "orgoglio italiano novatore", formula di "arte-vita originale", "religione della velocità", "massimo sforzo dell'umanità verso la sintesi", "igiene spirituale", "metodo d'immancabile creazione", "splendore geometrico veloce", "estetica della macchina". Antipraticamente quindi, noi futuristi trascuriamo l'esempio e il mònito della tradizione per inventare ad ogni costo un nuovo giudicato da tutti pazzesco. Pur riconoscendo che uomini nutriti male o grossolanamente hanno realizzato cose grandi nel passato, noi affermiamo questa verità: si pensa si sogna e si agisce secondo quel che si beve e si mangia.

Consultiamo in proposito le nostre labbra, la nostra lingua, il nostro palato, le nostre papille gustative, le nostre secrezioni glandolari ed entriamo genialmente nella chimica gastrica. Noi futuristi sentiamo che per il maschio la voluttà dell'amare è scavatrice abissale dall'alto al basso, mentre per la femmina è orizzontale a ventaglio. La voluttà del palato è invece per il maschio e per la femmina sempre ascensionale dal basso all'alto del corpo umano. Sentiamo inoltre la necessità di impedire che l'Italiano diventi cubico massiccio impiombato da una compattezza opaca e cieca. Si armonizzi invece sempre più coll'italiana, snella trasparenza spiralica di passione, tenerezza, luce, volontà, slancio, tenacia eroica. Prepariamo una agilità di corpi italiani adatti ai leggerissimi treni di alluminio che sostituiranno gli attuali pesanti di ferro legno acciaio. Convinti che nella probabile conflagrazione futura vincerà il popolo più agile, più scattante, noi futuristi dopo avere agilizzato la letteratura mondiale con le parole in libertà e lo stile simultaneo, svuotato il teatro della noia mediante sintesi alogiche a sorpresa e drammi di oggetti inanimati, immensificato la plastica con l'antirealismo, creato lo splendore geometrico architettonico senza decorativismo, la cinematografia e la fotografia astratte, stabiliamo ora il nutrimento adatto ad una vita sempre più aerea e veloce.

Crediamo anzitutto necessaria:

a) L'abolizione della pastasciutta, assurda religione gastronomica italiana. Forse gioveranno agli inglesi lo stoccafisso,il roast-beef e il budino, agli olandesi la carne cotta col formaggio, ai tedeschi il sauer-kraut, il lardone affumicato e il cotechino; ma agli italiani la pastasciutta non giova. Per esempio, contrasta collo spirito vivace e coll'anima appassionata generosa intuitiva dei napoletani. Questi sono stati combattenti eroici, artisti ispirati, oratori travolgenti, avvocati arguti, agricoltori tenaci a dispetto della voluminosa pastasciutta quotidiana. Nel mangiarla essi sviluppano il tipico scetticismo ironico e sentimentale che tronca spesso il loro entusiasmo. Un intelligentissimo professore napoletano, il dott.Signorelli, scrive: "A differenza del pane e del riso la pastasciutta è un alimento che si ingozza, non si mastica. Questo alimento amidaceo viene in gran parte digerito in bocca dalla saliva e il lavoro di trasformazione è disimpegnato dal pancreas e dal fegato. Ciò porta ad uno squilibrio con disturbi di questi organi. Ne derivano: fiacchezza, pessimismo, inattività nostalgica e neutralismo".

Invito alla chimica

La pastasciutta, nutritivamente inferiore del 40% alla carne, al pesce, ai legumi, lega coi suoi grovigli gli italiani di oggi ai lenti telai di Penelope e ai sonnolenti velieri, in cerca di vento. Perchè opporre ancora il suo blocco pesante all'immensa rete di onde corte lunghe che il genio italiano ha lanciato sopra oceani e continenti, e ai paesaggi di colore forma rumore che la radiotelevisione fa navigare intorno alla terra? I difensori della pastasciutta ne portano la palla o il rudero nello stomaco, come ergastolani o archeologi. Ricordatevi poi che l'abolizione della pastasciutta libererà l'Italia dal costoso grano straniero e favorirà l'industria italiana del riso.

b) L'abolizione del volume e del peso nel modo di concepire e valutare il nutrimento.

c) L'abolizione delle tradizionali miscele per l'esperimento di tutte le nuove miscele apparentemente assurde, secondo il consiglio di Jarro Maincave e altri cuochi futuristi.

d) L'abolizione del quotidianismo mediocrista nei piaceri del palato.
Invitiamo la chimica al dovere di dare presto al corpo le calorie necessarie mediante equivalenti nutritivi gratuiti di Stato, in polvere o pillole, composti albuminoidei, grassi sintetici e vitamine. Si giungerà così ad un reale ribasso del prezzo della vita e dei salari con relativa riduzione delle ore di lavoro. Oggi per duemila kilowatt occorre soltanto un operaio. Le macchine costituiranno presto un obbediente proletariato di ferro acciaio alluminio al servizio degli uomini quasi totalmente alleggeriti dal lavoro manuale. Questo, essendo ridotto a due o tre ore, permette di perfezionare e nobilitare le altre ore col pensiero le arti e la pregustazione di pranzi perfetti. In tutti i ceti i pranzi saranno distanziati ma perfetti nel quotidianismo degli equivalenti nutritivi.

Il pranzo perfetto esige:

1. Un'armonia originale della tavola (cristalleria vasellame addobbo) coi sapori e colori delle vivande.

2. L'originalità assoluta delle vivande.

Il "Carneplastico"

Esempio: Per preparare il Salmone dell'Alaska ai raggi del sole con salsa Marte, si prende un bel salmone dell'Alaska, lo si trancia e passa alla griglia con pepe e sale e olio buono finché è bene dorato. Si aggiungono pomodori tagliati a metà preventivamente cotti sulla griglia con prezzemolo e aglio.
Al momento di servirlo si posano sopra alle trancie dei filetti di acciuga intrecciati a dama. Su ogni trancia una rotellina di limone con capperi. La salsa sarà composta di acciughe, tuorli d'uova sode, basilico, olio d'oliva, un bicchierino di liquore italiano Aurum, e passati al setaccio. (Formula di Bulgheroni, primo cuoco della Penna d'Oca.)

Esempio: Per preparare la Beccaccia al Monterosa salsa Venere, prendete una bella beccaccia, pulitela, copritene lo stomaco con delle fette di prosciutto e lardo, mettetela in casseruola con burro, sale, pepe, ginepro, cuocetela in un forno molto caldo per quindici minuti innaffiandola di cognac. Appena tolta dalla casseruola posatela sopra un crostone di pane quadrato inzuppato di rhum e copritela con una pasta sfogliata. Rimettetela poi nel forno finchè la pasta è ben cotta. Servitela con questa salsa: un mezzo bicchiere di marsala e vino bianco, quattro cucchiai di mirtilli, della buccia di arancio tagliuzzata, il tutto bollito per 10 minuti. Ponete la salsa nella salsiera e servitela molto calda. (Formula di Bulgheroni, primo cuoco della Penna d'Oca).

3. L'invenzione di complessi plastici saporiti, la cui armonia originale di forma e colore nutra gli occhi ed ecciti la fantasia prima di tentare le labbra.
Esempio: Il Carneplastico creato dal pittore furista Fillìa, interpretazione sintetica dei paesaggi italiani, è composto di una grande polpetta cilindrica di carne di vitello arrostita ripiena di undici qualità diverse di verdure cotte. Questo cilindro disposto verticalmente nel centro del piatto, è coronato da uno spessore di miele e sostenuto alla base da un anello di salsiccia che poggia su tre sfere dorate di carne di pollo.

Equatore + Polo Nord

Esempio: Il complesso plastico mangiabile Equatore + Polo Nord creato dal pittore furista Enrico Prampolini è composto da un mare equatoriale di tuorli rossi d'uova all'ostrica con pepe sale limone. Nel centro emerge un cono di chiaro d'uovo montato e solidificato pieno di spicchi d'arancio come succose sezioni di sole. La cima del cono sarà tempestata di pezzi di tartufo nero tagliati in forma di aeroplani negri alla conquista zenit.
Questi complessi plastici saporiti colorati profumati e tattili formeranno perfetti pranzi simultanei.

4. L'abolizione della forchetta e del coltello per i complessi plastici che possono dare un piacere tattile prelabiale.

5. L'uso dell'arte dei profumi per favorire la degustazione. Ogni vivanda deve essere preceduta da un profumo che verrà cancellato dalla tavola mediante ventilatori.

6. L'uso della musica limitato negli intervalli tra vivanda e vivanda perchè non distragga la sensibilità della lingua e del palato e serva ad annientare il sapore goduto ristabilendo una verginità degustativa.

7. L'abolizione dell'eloquenza e della politica a tavola.

8. L'uso dosato della poesia e della musica come ingredienti improvvisi per accendere con la loro intensità sensuale i sapori di una data vivanda.

9. La presentazione rapida tra vivanda e vivanda, sotto le nari e gli occhi dei convitati, di alcune vivande che essi mangeranno e di altre che essi non mangeranno, per favorire la curiosità, la sorpresa e la fantasia.

10. La creazione dei bocconi simultanei e cangianti che contengano dieci, venti sapori da gustare in pochi attimi. Questi bocconi avranno nella cucina futurista la funzione analogica immensificante che le immagini hanno nella letteratura. Un dato boccone potrà riassumere una intera zona di vita, lo svolgersi di una passione amorosa o un intero viaggio nell'Estremo Oriente.

11. Una dotazione di strumenti scientifici in cucina: ozonizzatori che diano il profumo dell'ozono a liquidi e a vivande, lampade per emissione di raggi ultravioletti (poiché molte sostanze alimentari irradiate con raggi ultravioletti acquistano proprietà attive, diventano più assimilabili, impediscono il rachitismo nei bimbi, ecc.) elettrolizzatori per scomporre succhi estratti ecc. in modo da ottenere da un prodotto noto un nuovo prodotto con nuove proprietà, mulini colloidali per rendere possibile la polverizzazione di farine, frutta secca, droghe ecc.; apparecchi di distillazione a pressione ordinaria e nel vuoto, autoclavi centrifughe, dializzatori. L'uso di questi apparecchi dovrà essere scientifico, evitando p.es. l'errore di far cuocere le vivande in pentole a pressione di vapore, il che provoca la distruzione di sostanze attive (vitamine, ecc.) a causa delle alte temperature. Gli indicatori chimici renderanno conto dell'acidità e della basicità degli intingoli e serviranno a correggere eventuali errori: manca di sale, troppo aceto, troppo pepe, troppo dolce.






( Immagini dal web)
( Fonti web )

martedì 25 ottobre 2016

Aosta: sito archeologico di Saint Martin de Corleans





Come tutti gli anni abbiamo trascorso parte delle nostre vacanze in Valle d'Aosta e, come tutti gli anni, siamo stati felici della nostra scelta. Come sempre abbiamo soggiornato al Quart de Lune e come sempre siamo stati viziati e coccolati ( sia noi che i nostri ragazzi pelosi ) e come sempre abbiamo " affrontato " piacevoli passeggiate nello straordinario scenario delle Alpi...quello che quest'anno è cambiato è il fatto che, finalmente, è stato aperto il sito archeologico di Saint Martin de Corleans.









Era anni che aspettavo di poter visitare questo sito e finalmente  ho realizzato il mio desiderio, dico subito che aspettare è valsa la pena il sito di grande interesse è, alla fine anche un percorso emozionale nella storia dell'uomo.









Il deposito stratificato dell'area archeologica di Saint Martin de Corleans, alla periferia occidentale di Aosta, in un'estensione di circa un ettaro testimonia un'evoluzione storica ininterrotta, che partendo da momenti finali del Neolitico comprende tutto l'Eneolitico ( età del Rame ), attraversa le successive Età del Bronzo, del Ferro e Romana per giungere al Medio evo e all'età Moderna, in un lasso di tempo che dal 4.000 a.C. arriva fino al XXI secolo d.C.









Le ricerche archeologiche iniziate nel 1969 ( anno in cui i lavori di sbancamento per la costruzione di condomini portarono alla luce la prima delle stele antropèomorfe, riutilizzata come copertura di una tomba ), si sono protratte fino ad oggi, indagando un vasto giacimento costituito da più piani di antica frequentazione, con tracce, talvolta monumentali, della presenza umana e di attività a questa connesse.









Sulla base di quanto emerso dalle ricerche sul campo e dai successivi studi e approfondimenti, nell'area megalitica ( parole composta dai termini del greco antico megas= grande e lithos = pietra ) si è definita una sequenza di fasi caratterizzate dalla presenza di importanti reperti, oggi visitabili nel loro stesso luogo di rinvenimento.









La fase inziale contenente, contrassegnata da solchi di aratura e da un allineamento di pozzi contenenti cereali e macine, alla luce delle analisi più recenti è riconducibile al Neolitico.









Nella seconda fase il sito si presenta come un " santuario " all'aperto, con allineamenti di simulacri di culto: pali lignei, di cui restano oggi le buche di alloggiamento, e stele antropomorfe di altissima qualità scultorea.









La successiva trasformazione dell'area, con funzione funeraria, portò all'innalzamento di monumenti funebri costruiti con grandi pietre ( megaliti ) tra i quali risalta l'imponente dolmen su piattaforma triangolare.








































Il percorso espositivo dell'area megalitica di Saint Martin de Corleans inizia con una emozionante discesa temporale dall'odierno alla preistoria: lungo un tragitto costellato di immagini riferite alla storia umana, le passerelle d'ingresso nel museo conducono il visitatore al livello del sito archeologico vero e proprio ( a circa 6 metri dal livello stradale )









Qui si apre allo sguardo un ambiente grandioso: l'effetto cercato è quello di una comprensione visiva emozionale dell'insieme, colto come complesso monumentale, modulato dall'illuminazione che muta gradatamente con riferimento  alle diverse ore del giorno.









Attraversando la dimensione del tempo, i toni delle luci colorano l'atmosfera che avvolge i reperti archeologici, il dolmen, le stele abbattute, le piattaforme, le tracce di arature.






















La visita è un continuio affaccio sul sito, in una sorta di costante dialogo " interno -  museo / esterno -
sito " e sarà possibile trovare spiegazioni, approfondimenti, e interpretazioni su apparati didattici e multimediali.























L'itinerario si articola in sei sezioni, che seguono e ricostruiscono la periodizzazione del sito: la curva accogliente della cronologia termina termina iondicando il passaggio delle arature, quindi ai pozzi. attraverso pio il lungo ambiente dedicato agli allineamenti di pali, per giungere alle stele antropomorfe e alla conclusiva fase delle tombe.









Per me è stata un'esperienza magnifica il mio consiglio è quello, se vi trovate a percorrere le vie della Valle d'Aosta, di non mancare a questo appuintamento davvero imperdibile con l'inizio della nostra storia



































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Piemontesità

Piemontesità
" ...ma i veri viaggiatori partono per partire, s'allontanano come palloni, al loro destino mai cercano di sfuggire, e, senza sapere perchè, sempre dicono: Andiamo!..." ( C.Boudelaire da " Il viaggio")