sabato 24 febbraio 2018

Il Ratafià di Andorno, una storia alchemica





Di quasi certa paternità piemontese, la ratafià, conosciuta anche come ratafia o ratafiat, risulta essere nata intorno al 1600 dall’Ordine Cistercense nel monastero di Santa Maria della Sala, ad Andorno Micca, in provincia di Biella. Da lì, si è poco a poco diffusa sia nel paese stesso sia travalicando i confini verso altre regioni dell’Italia centrale, in particolare quella abruzzese, di cui ben presto è diventato un prodotto agroalimentare tradizionale italiano.
 Questo apprezzato digestivo dal retrogusto fruttato e dal colore rosso-violastro, menzionato anche da Gabriele D’Annunzio, possiede un profumo unico che rimanda immediatamente ai frutti di bosco, è uno dei nostri liquori più noti e, a mio parere, marita di essere conosciuto.






E' uno dei liquori biellesi per eccellenza ha origini antichissime ed una storia molto particolare, e se la storia ci racconta dell'origine nel 1660 la tradizione e la leggenda ci raccontano ben altro, ci raccontano  una storia magica, una storia alchemica.








 Le trame del racconto sul Ratafià giungono dal Medioevo, un’epoca in cui Biella non aveva ancora affermato la propria superiorità e Andorno Micca si distingueva come città rivale che in quei tempi occupava l’intera Valle del Cervo. Un’epoca difficile per le condizioni igienico sanitarie ed un periodo in cui la fede era il rimedio più utilizzato Il popolo, per sopravvivere, doveva basarsi sulle risorse che la natura offriva, creando talvolta, come primitiva medicina, intrugli e decotti portentosi che il popolo stesso, ignorante, additava poi come riti di stregoneria. Fu allora che una donna residente ad Andorno Micca, sia per talento personale che per poter sbarcare il lunario, cominciò la propria attività di erborista, traendo dalle erbe montane combinate con l’alcool e altre sostanze, dei decotti utili ad aiutare i compaesani in difficoltà. Proprio questa sua dote però le valse quasi la vita. La donna infatti insospettì gli inquisitori, per la sua magica capacità di guarire e alleviare le pene altrui e venne denunciata per stregoneria. Il processo fu presto risolto: la strega venne condannata a morte, ma proprio in quei giorni, in un tempo flagellato da peste e epidemie, un male cominciò a dilagare, mietendo vite e debilitando chi lo contraeva. Fu in quel momento che la condannata, desiderosa di un ultimo atto d’amore per i suoi concittadini, disse loro di raccogliere le ciliegie e spiegò come lavorarle per creare uno sciroppo dolce e molto energetico. Grazie alla soluzione i malati ripresero forza riuscendo a sopravvivere e questo atto di grande bontà venne visto come atto di riscatto della strega verso il popolo a cui venne salvata la vita.







Andando oltre le leggende troviamo traccia del Ratafià di Andorno ne «Le Tradizioni Italiane» dello scrittore Angelo Brofferio (1848), dove racconta di un liquore di ciliegie nere che, nell’anno 1000, salvò dalla peste la popolazione di Andorno, rendendo possibile il matrimonio tra la figlia dell’inventore di questo liquore e il figlio del suo più fiero nemico. La pace tra le due famiglie fu così ristabilita, e la frase che venne pronunciata a suggello dell’unione tra i due giovani, «et sic res rata fiat», diede il nome a questo magico liquore.








 Nel 1700 lo speziale Pietro Rappis ne iniziò la produzione artigianale; il Ratafià, divenne presto molto famoso anche Oltralpe: nel 1766, infatti, il notissimo «Cuoco Piemontese perfezionato a Parigi» dedicava al liquore due ricette.







 Era il 1880 quando, ad Andorno, Giovanni Rapa aprì lo stabilimento dove viene prodotto il Ratafià, il cui nome significa appunto liquore dolce a base di frutta. Un prodotto che non nasce dalla distillazione ma dall'infusione della frutta con zucchero e alcol. 








 il Ratafià di Andorno è prodotto in 5 varianti Ciliege, ginepro, noci albicocca e limoni. Il gusto classico rimane quello alle ciliege nere. Preparato con il succo di pregiate ciliegie nere, zucchero ed aromi, è particolarmente apprezzato per il suo soave sapore. Una leggera gradazione alcolica lo rende liquore gradito a tutti. E' consigliato berlo freddo, con ghiaccio o liscio. Eccellente ingrediente nella preparazione dei dolci più prelibati, con la macedonia e con il gelato. La nostra pasticceria Dolci Capricci recentemente ha creato con questo liquore uno splendido gelato e una golosissimo semi freddo, che riesce a far " resuscitare i morti ".








Ratafia alle noci



Il Ratafia’ di Noci, ricavato dall’infuso di mallo di noci in alcool, è un altro dei tipici liquori di Andorno, patria del Ratafià. Come tutti i liquori antichi, le sue origini si perdono nei secoli e sono avvolte da un magico velo di mistero.








Le noci ancora verdi, avvolte nel loro mallo, dovevano essere raccolte nella notte del 24 giugno, giorno di incantesimi. Messe in infusione in alcool purissimo con zucchero e spezie, venivano lasciate riposare per alcuni mesi. Dopo la filtrazione il liquore era pronto. Giovanni Rapa, fondatore nel 1880 dell’omonimo Liquorificio, già distintosi nella preparazione di liquori derivati da frutti ed erbe, raccolse la tradizione e mise a punto una ricetta per il Ratafià di Noci.








Si consiglia di berlo liscio o con ghiaccio. Ottimo abbinato con i più pregiati formaggi, è un eccellente ingrediente nella preparazione dei dolci più prelibati, con la macedonia e con il gelato.









Ratafia-ginepro

. Selezionate bacche di ginepro messe in infusione in alcool purissimo con spezie rare conferiscono al liquore un sapore caratteristico molto aromatico.









Si consiglia di berlo liscio o con ghiaccio. Ottimo risulta il suo impiego in cucina nella preparazione della selvaggina, per esaltarne i sapori con la sua unica fragranza.








Leggende lontane fanno risalire questo dolce liquore ad un eremita che, rifugiatosi in un bosco non lontano da Andorno, avrebbe ricavato il prezioso liquore dal succo di frutti selvatici e di rovo.








Ratafià alle albicocche

Preparato con il succo di pregiate albicocche, zucchero ed aromi, è particolarmente apprezzato per il suo soave sapore.
Si consiglia di berlo freddo, con ghiaccio o liscio. Eccellente ingrediente nella preparazione dei dolci più prelibati, con la macedonia e con il gelato.












 La scommessa più grande però è stata fatta con il limone.
I sapori della Sicilia e la tradizione biellese si incontrano ad Andorno dove, nello storico liquorificio Rapa, si cerca «la risposta della Valle Cervo al limoncello di Sorrento». È il liquore di limoni, l'ultimo successo prodotto all'interno di una ditta che, in quasi 140 anni di attività, è riuscita a far conoscere il Ratafià di Andorno in tutto il mondo. A distanza di pochi anni dalla sua introduzione nel mercato, oggi il Ratafià al limone è arrivato fino a Shanghai dove, più di un ristorante, ha l'abitudine di servire questo liquore ai propri clienti dopo cena. «I limoni utilizzati per produrre il nostro liquore appartengono alla varietà “Femminello Santa Teresa” ed arrivano dalla provincia di Catania - spiega Vincenzo Caldesi, titolare della ditta con Alida Borrione -. Sicuramente però è molto più facile fare arrivare ad Andorno dei limoni oggi piuttosto che le noci da Viverone nel 1880».







. «È vero, la nostra non è una terra da agrumi, ma abbiamo deciso di puntare su un prodotto tipico del sud Italia – dice
Alida Borrione -. Si tratta di un liquore che si differenzia totalmente dal classico limoncello. Rispecchiando la nostra filosofia di qualità e genuinità, il Ratafià al limone viene realizzato in maniera molto semplice». Ed infatti, per evitare che il prodotto possa perdere aroma durante il viaggio, la prima lavorazione avviene direttamente nelle tenute in provincia di Catania. Lì viene rimossa la scorza, lavorata e messa in infusione. Ne nasce un'essenza che, nei laboratori di Andorno (dopo essere stata miscelata con zucchero, alcol ed aromi naturali) viene imbottigliata. Il risultato è un liquore di 26 gradi da bere ghiacciato, a temperatura ambiente oppure da unire a macedonia o gelato. «La produzione del liquorificio di Andorno è di 60 mila bottiglie all'anno di cui 40 mila sono alla ciliegia nera, quella che fino ad oggi continua ad essere la più richiesta sul mercato» spiega Sergio Rapa, l'ultimo dei nipoti del fondatore che ancora lavora nel liquorificio. Già da parecchi anni infatti, il Ratafià alle ciliegie si può trovare anche nei bar e nei ristoranti di New York e Los Angeles. «Grazie al Ratafià al limone ci stiamo imponendo anche sul mercato orientale – conclude Caldesi -. È vero, non produciamo grossi quantitativi, ma alla quantità abbiamo sempre preferito la qualità. A distanza di quasi 140 anni, i consensi ottenuti ci hanno fatto capire che abbiamo seguito la strada giusta».






( Immagini dal web )
( Fonti Web, La Stampa, Diario di Biella )














sabato 17 febbraio 2018

In viaggio sull' Orient Express




Un vagone è stato ritrovato in Spagna, in aperta campagna: era completamente abbandonato, dentro c'era solo una gallina. Una vettura di soggiorno era nascosta in Francia, dimenticata chissà dove assieme al suo incredibile tesoro: una delle più grandi collezioni di pezzi originali di Lalique. Altre stavano nelle officine della Compagnie Internationale de Wagons - lit, alcune in qualche museo, una a Brema. Rimettere insieme l'Orient Express non è stato facile. Ma c'è chi l'ha fatto.








Già. Avete presente il " treno dei re "? Ecco. Non è rimasto ( solo ) sulle pagine del celebre giallo di Agatha Christie o nei fotogrammi di qualche film di James Bond. Nossignori: l'Orient Express continua a viaggiare per mezza Europa e, con un pizzico di fortuna, potreste addirittura vederlo passare in stazione. Magari mentre aspettate il vostro regionale. Certo se pensate di adocchiare diplomatici, spie e avventurieri dal vago sapore letterario resterete delusi: oggi il convoglio dei convogli è un treno turistico. Anzi un " Museo Viaggiante ".








L'idea è nata a Montecarlo. E nel 1977, quando sono state messe all'asta ben 4 delle vetture originali costruite tra il 1925 3 il 1930: James Sherwood ne comprò due ( le altre se le aggiudicò il Re del Marocco, tanto per dire. ). Da allora è cominciata una vera e propria caccia al pezzo per recuperare vagoni e carrozze che nel frattempo erano finiti un po' dappertutto: negli anni 30 di vetture come quelle ne circolavano cieca 900. Su una di queste fu addirittura firmato l'importante armistizio tra la Francia e la Germania.








Ma non è tutto. Perchè ricreare il mito dell'Orient Express non è cosa da poco e sicuramente non si limita all'assemblaggio di qualche vagone ( 18 per essere precisi ). Il lavoro, quello duro è stata l'opera di restauro. Sì, perchè quelle carrozze tutte brandy e bicchieri di cristallo dovevano essere messe in grado di correre sui binari moderni e dovevano essere accomodate in modo da restituire la loro originaria ( e affascinante ) bellezza.








Ogni vettura è diversa dall'altra. Il treno " continentale " ( quello cioè che anche oggi fa il tragitto notturno ) è costituito da 12 vetture letto, 3 vetture ristorante, alcuni vagoni di servizio e una carrozza bar, dove fino a notte fonda suona un pianista e vengono serviti drink e bevande. In perfetto stile Belle Epoque!








E' stato un lavoro enorme, reperire pezzi di ricambio non è stato facile al punto che in molti casi architetti e tecnici hanno dovuto affidarsi al lavoro degli artigiani, come per esempio per i bicchieri che , attraverso vecchi disegni ritrovati, sono stati riprodotti minuziosamente. Niente, proprio niente è lasciato al caso.








E non per modo di dire. Mantenere l'iniziale splendore dell'Orient Express è un imperativo al quale non si può prescindere. Al punto che per quasi vent'anni quel treno ha continuato a viaggiare grazie al riscaldamento a carbone. Intendiamoci, ora non è più così: per motivi d'impatto ambientale anche l'Orient Express ha abbandonato gli sbuffi a vapore, ma fino a una manciata di anni fa succedeva.








Altro esempio? Se salite a bordo dimenticatevi la parola congelatore. In fondo in piena Belle Epoque non era facile trovare un frigorifero. Nemmeno sull'Orient Express. Esattamente come succedeva cent'anni fa il cibo freschissimo viene caricato a Venezia o a Boulogne, o dove serve, e lo chef, di assoluta qualità, cucina a bordo. Esattamente come succedeva cent'anni fa, quando nei grandi espressi europei i convogli si fermavano a disposizione dei capicuochi che scendevano per acquistare ciò che si trovava di fresco sul posto.








Il menù però non è quello originale degli anni 30: è stato un po' alleggerito, ma per ragioni, diciamo così,obbligati infatti esistono le carte originali che dimostrano che quei pranzi duravano quattro ore!








Insomma, nell'era del aerei e dell'Alta Velocità, quella dell'Orient Express è sicuramente una voce fuori dal coro. In ( appena ) 36 ore si può viaggiare da Venezia a Londra, ma non è la sola tratta disponibile: da almeno 10 anni l' Orient Express ferma alle stazioni di Istanbul, Praga, Vienna, Budapest: sempre nell'idea dei grandi espressi europei, sempre con quel retro gusto Anni Trenta che lascia anche la malinconia di una stagione ormai passata.








Certo, non è per tutte le tasche: basta fare un giro sul sito per rendersene conto. Ma non è un viaggio normale, è una crociera su ruote. Anzi su binari. Con buona pace di Agatha Christie.








Itinerario

Il viaggio Venezia - Parigi - Londra a bordo del Venice Simplon Orient Express dura 2 giorni e prevede cena, prima colazione, brunch e thè all'inglese pomeridiano, con uno stewart al servizio dei passeggeri durante tutto il tragitto. La stazione di partenza è quella di Santa Lucia a Venezia; il treno ferma 40 minuti nella stazione di Parigi est al mattino del secondo giorno; l'arrivo è a Victoria Station ( Londra )


Le cabine

Salone privato durante il giorno, con divano, poggia piedi e tavolino, che si trasforma in camera per la notte con l'allestimento dei letti. Bagno con asciugamani e oggetti di toeletta. Portabagagli e armadio.


Ristorazione

I pasti vengono cucinati direttamente a bordo da chef di elevata qualità.


Attività

La carrozza - bar è il luogo di riunione privilegiato dei passeggeri, per chiacchiere all'ora del thè, cominciare la serata ascoltando musica o prolungare la notte lungo le vie dell'Europa.








martedì 13 febbraio 2018

Racconto in Inverno





Fuori dalle mie finestre nevica, sono qui seduta davanti alla stufa con Cassandra accucciata ai miei piedi, guardo i fiocchi cadere, sposto lo sguardo sul fuoco e poi di nuovo verso la finestra, c'è sapore d'inverno e allora, finalmente, mi cresce dentro la voglia di raccontare. E allora bisogna tirarlo fuori questo racconto, una volta per tutte, bisogna raccontarlo, scriverlo e poi cercare di voltare pagina e cercare di pensarci il meno possibile, tornare alle vecchie, care abitudini: la montagna, la fotografia, la cucina, il blog, questo blog praticamente abbandonato da mesi, ho scritto poco e male e ancor meno sono passata dai blog amici, mi mancava il tempo, mi mancava la voglia troppo distratta da quello che mi stava accadendo nella vita di tutti i giorni
E' stato un anno difficile nel mese di marzo una mia cara amica si ammalata, la diagnosi è stata  nefasta fin dal primo momento, sarcoma dei tessuti molli in stadio avanzato, metastasi varie ecc.,
il mondo che in attimo si rovescia. Mi ha chiesto, in una drammatica telefonata se Renato ed io ce la sentivamo di fare questo percorso devastante con lei, e così è iniziato un anno dolorosissimo, uno dei peggiori della mia vita, lei sempre più stremata dalla malattia, io sempre più catapultata in un universo che non conoscevo.
Forse non siamo mai state così vicine come in questi mesi di malattia, abbiamo ricordato infinite volte i momenti della nostra amicizia...la prima sigaretta, la prima sbronza presa a scuola, i primi amori vissuti insieme, il matrimonio...e poi è stato solo più dottore, morfina, oppiacei, dolore, lacrime, ossigeno, sfinimento, fino all'ultimo ricovero in ospedale, il coma e l'addio...
Forse non siamo mai state così lontane come in certi terribili momenti  che abbiamo vissuto, quando io per lei rappresentavo un dovere, quella che dosava i medicinali, quella che le faceva fare cose che lei non voleva...
C'è stato dolore, tanto, c'è stato sangue, ci sono state lacrime, le sue parole " io voglio vivere " ancora adesso mi rimbombano nel cervello giorno e notte, ci sono state discussioni quando lei, stremata, rifiutava i ricoveri in ospedale, c'è stata amicizia, tanta, c'è stata la sua lettera d'addio lasciata dentro uno dei libri che mi ha regalato a Natale, una lettera preziosa, una lettera piena d'amore...
C'è stato il momento disumano in cui ho visto il suo tumore per la prima volta, avrei voluto mettermi ad urlare, avrei voluto scappare, non sono più riuscita a dormire per mesi, mi sembrava di aver guardato il diavolo negli occhi.
C'è stato il giorno di Natale, mancava il suo posto a tavola, noi, tutti tristi per lei che se ne stava andando, per il mio piccolo Platone che ci stava lentamente lasciando. Il pomeriggio trascorso con lei, a scambiarci i regali che , per la prima volta nella sua vita, aveva scelto con tanto entusiasmo e attenzione...quanti negozi mi ha fatta girare per trovare quello che voleva...ma lei , quel pomeriggio, non aveva più voglia di scambiare regali, a mala pena riusciva ad aprire gli occhi, non riusciva a parlare come avrebbe voluto.
Poi il suo ricovero , le corse all'ospedale, la telefonata del suo medico che mi avvertiva che le cose erano ben peggio di come risultavano l'ultima volta...il nostro ultimo incontro, lei in quel letto con le sue consapevolezze, io stremata, spaventata, annientata, il nostro ultimo saluto..." non andare via, stai ancora un po' qui " mi diceva, e avrei voluto urlarglielo anch'io, " non andare via "...
Invece lei se ne è andata, lasciando l'ultima raccomandazione  di non abbandonare i suoi amati cani. Una parte di me è andata via con lei e non potrà più ritornare.
E la sera dopo, tutti insieme nel nostro vecchio bar di quando eravamo ragazzi, amici di una vita, amici cresciuti insieme, a parlare di lei, a ricordarla così, com'era, un po' folle, come lo eravamo tutti in quegli anni, lei bellissima e resa ancora più bella nel ricordo...unico momento di serenità questo ricordarla nei suoi anni migliori...
E poi la mia fatica a tornare alla normalità, una stanchezza infinita, il dolore per lei, il dolore per la perdita incolmabile del mio piccolo dolce Platone , se ne è andato anche lui, lasciandoci disperati.
E adesso il dolore di dover ogni giorno entrare nella sua casa per accudire i cani, ogni giorno è più vuota, più triste. Ieri ho detto a mio marito " detesto venire qui, mi sembra che qui sia successo qualche cosa di brutto e terribile ", mi ha stretto un braccio e mi ha detto " Ma è stato così! "
Bisognava che io le scrivessi queste cose, dovevo in qualche modo esorcizzarle per poter tornare qui nel mio piccolo spazio sereno, per poter ricominciare...




sabato 30 dicembre 2017

Ciao Platone, ciao piccolino...




Ciao Platone, ciao piccolo angioletto con la coda, sei volato sul ponte dell'Arcobaleno. Credo che sul Ponte ci siano le montagne, i prati, i boschi, la neve, il mare, tutte le cose che ti piacevano tanto....anche i calamari fritti..! Credo che il Ponte sia proprio su quella stellina che vedo dalla finestra della mia camera e che tu da lassù ci possa guardare scodinzolando e sorridendo mentre aspetti di ricominciare la tua avventura con noi.
Ciao piccolo mio, ti abbiamo voluto e ti vogliamo tanto, tanto bene.
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venerdì 15 dicembre 2017

Dentro Caravaggio






C'è un velo di sottile e forse compiaciuta ironia nel presentare questa grande mostra su Caravaggio con l'intento di " fare nuova luce " sul fenomenale pittore e attaccabrighe.
Ma la mostra a Palazzo Reale, nella " sua " Milano apre realmente inediti scenari fra arte e scienza sul genio che proprio della luce ha fatto la sua personale rivoluzione..








Talmente visionario che molti suoi contemporanei non l'hanno capito ( vedi il Bellori e il Baglione ) e per tre secoli è finito nell'oblio, riscoperto solo dall'intuizione di Roberto Longhi che, proprio a Milano, con la storica mostra monografica del1951 ha squarciato il velo caduto su questo " cervello stravagantissimo 2, come lo definì il Cardinal Del Monte suo protettore.








Con Dentro Caravaggio più di 20 capolavori di Michelangelo Merisi sono riuniti per la prima volta e per la prima volta riletti attraverso nuove ricerche documentarie e tecnologiche, in un allestimento che fa delle luci a Led la chiave per goderne appieno.








Una mostra che fa il punto sulle conoscenze attuali sul pittore lombardo, a partire dalla rivisitazione della cronologia delle opere giovanili. Il ricercatore Riccardo Gandolfi ha infatti riscoperto nell'Archivio di Stato della Capitale l'inedito Vite dei pittori di Gaspare Celio (1614 ) che sposta l'arrivo di CVaravaggio a Roma dal 1592 al 1596, quindi ridatando e comprimendo il suo operato ( fatto non secondario per un pittore che ha lavorato in tutto meno di quindici anni ) e costringendo a un interrogativo " cos'ha fatto in quei quattro anni di buco?"








Niente di molto diverso dal resto della sua vita, dicono le fonti: quasi certamente era in fuga da Milano dopo aver fatto un anno di carcere sembra per l'uccisione di un amico. Poi l'arrico a Roma, l'introduzione a Palazzo Madama nella cerchia di Del Monte e quella commissione per la Cappella Contarelli che ha cambiato la storia sua e dell'arte Tout court: un anno di tempo per completare il ciclo di San Matteo, due enormi pale da finire in un anno.








Una follia per uno che lavorava due settimane e passava i due mesi successivi a sperperare la paga fra giochi, bettole e lupanari.








Fu in quel 1600 che Caravaggio passò dalla preparazione " chiara " dei suoi dipinti a quella " scura ": quel " nero Caravaggio " oggi celeberrimo nacque anche come espediente per risparmiare tempo. per poi diventare il tratto distintivo del suo stile, della sua maestria nelle ricerche ottiche e soecchio del suo progressivo disfacimento psicologico.








La curatrice Rossella Vodret, con un percorso guidato da video, didascalie, citazioni e testi originali dell'epoca a corredo dei dipinti, ci porta anche alla scoperta di un lato inedito di Caravaggio, quello messo in luce dalla diagnostica artistica, tecnica strumentale assimilabile alla diagnostica forense. Fluorescenza, riflettografia, radiografia, raggi x, stratigrafia: sono queste le principali metodologie che hanno svelato i segreti dell'esecuzione dei capolavori e permesso di guardarci attraverso.













Si scopre così che nel drammatico Giuditta che taglia la testa ad Oloferne ( 1602 ) Caravaggio ricorre a profonde incisioni sulla tela con uno strumento appuntito per segnarsi i riferimenti in cui posizionare le figure, anche per effettuare modifiche: qui infatti ha spostato verso destra la testa di Oloferne, distanziando i lembi della ferita sul collo per evidenziarne la profondità, la crudezza, il gesto netto di Giuditta.












Nel delicatissimo Riposo durante la fuga in Egitto ( 1597 ) che lo spiantato Michelangelo dipinge su una tovaglia di fiandra si è scoperto che l'angelo fulcro della composizione era in realtà piccolo e relegato nell'angolo a destra.













Ancora più clamorosa la rivelazione che La buona ventura ( 1597 ) è stata dipinta sopra una Vergine e il bambino che dorme e ruotando la tela di 90 gradi verso sinistra, la radiografia mostra il volto della Madonna e la sua aureola realizzatacon il compasso sotto la spallasinistra del ragazzo.














Prospettive nuove che ancora oggi ci inchiodano davanti a Caravaggio, "un valent'huomo che sappi dipinger bene et imitar bene le cose naturali. "









Detto questo restano le mie, le nostre impressioni, tante e tumultuose.
Certo è che trovarsi davanti a una così imponente rassegna di dipinti del grande maestro lascia senza fiato,
a un certo punto ti senti talmente preso da ciò che ti circonda che sembra che il resto del mondo sparisca o, forse, che non sia mai esistito.








Io amo moltissimo Caravaggio e tra i suoi quadri , come penso sia naturale, ho una predilezione per uno, è 
La flagellazione di Cristo. E' la terza volta che ho la fortuna di ammirare dal vivo questo dipinto ed è la terza volta che ne resto profondamente turbata, un quadro che mi entra dentro, che va al di là del bello o del valore artistico.
In questa opera Caravaggio mantiene un'impaginazione tradizionale, ma vi aggiunge i suoi singolari ed inconfondibili elementi che, a mio parere, ne fanno un capolavoro assoluto:, il dramma, i contrasti di luce e ombra e il forte dinamismo accentuato nella torsione dei corpi. La tensione è anche emotiva: dolore per il Cristo, concentrazione e sadico impegno per i flagellatori.

Una mostra imperdibile, uno splendido regalo di Natale che Milano fa a tutti gli appassionati d'arte.




























( Immagini dal web)
( Fonte Tommaso Lorenzini )

Piemontesità

Piemontesità
" ...ma i veri viaggiatori partono per partire, s'allontanano come palloni, al loro destino mai cercano di sfuggire, e, senza sapere perchè, sempre dicono: Andiamo!..." ( C.Boudelaire da " Il viaggio")