Il castello di Fenis domina una porzione di territorio sottoposta fin dal XII secolo alla giurisdizione dei signori di Challant, visconti di Aosta.
L a scelta di un sito privo di prerogative difensive naturali, si giustifica probabilmente con i vantaggi offerti dalla preesistenza nella zona di nuclei abitati fin dall'epoca romana.
Il castello è la sintesi di diverse campagne costruttive succedutesi dal tardo XII al XV secolo. Risale al 1242 la prima menzione esplicita del maniero, infeudato a Gotofredo di Challant e ai suoi fratelli; all'epoca il castello doveva comprendere la torre quadrata r la torre colombaia sul lato sud, un corpo abitativo e una cortina muraria.
Nel XIV secolo sotto la signoria di Aimone di Challant, hanno luogo le trasformazioni più significative, in seguito alle quali il castello assumerà la fisionomia attuale.
Intorno al 1340viene costruito il corpo centrale che ingloba le strutture preesistenti, dotato a ovest di un torre maestra quadrata ( donjon)
Il periodo di maggior splendore del castello coincide con la massima fortuna economica e politica degli Challant. Il figlio di Aimone, Bonifacio I, che ricopriva importanti cariche militari e diplomatiche alla corte sabauda, promuove tra il 1393 e il primo quarto del XV secolo una nuova campagna di lavori, adattando l'austera dimora fortificata alle esigenze della vita cortese.
Risalgono a questo intervento la realizzazione del cortile con lo scalone semicircolare e il loggiato ligneo, la sistemazione dei principali locali di rappresentanza, il rifacimento dei camini e degli infissi secondo un gusto più aggiornato e la superba decorazione ad affresco del cortile e della cappella.
Nel secondo quarto del secolo il figlio Bonifacio II farà tramezzare sul lato orientale il ballatoio ricavando dei nuovi locali e commissionerà a Giacomino da Ivrea i dipinti della parete che chiude ad est il cortile. Dopo di allora il castello non subirà altre trasformazioni di rilievo se non quelle dovute al progressivo declino, legato alle travagliate vicende cui va incontro la famiglia Challant a partire dalla seconda metà del'400.
Come attesta lo storico Jean Baptist de Tllier, all'inizio del XVIII secolo il castello era in abbandono.
Nel 1716 il conte Georges Francois, ultimo erede di Fenis, è costretto ad alienare il feudo per far fronte ai debiti contratti dal padre. Dal conte Baldassarre Saluzzo di Castellar Paesana, membro del senato piemontese, il castello passa in seguito ad altri proprietari: ma l'ancien regime era ormai al tramonto, e da fiero simbolo del potere feudale il maniero è trasformato in casa colonica.
Nella seconda metà dell'ottocento il cortile era invaso dalle erbacce, la cappella era utilizzata come fienile, e altri locali, spogliati degli arredi originali, erano adibiti a depositi dei raccolti o a ricovero per gli animali: questo era lo stato in cui si trovava il castello quando l'architetto Alfredo d'Andrade, capofila del movimento culturale piemontese di orientamento neomedioevalista, comincia ad interessarsi al monumento, rilevandone tutti i particolari architettonici e decorativi. Nel 1895 d'Andrade acquista il castello e, dopo averne restaurato le parti più degradate lo dona allo Stato.
Il castello è dotato di un vistoso apparato militare destinato a sottolineare le capacità difensive, e quindi la potenza ed il prestigio degli Challant. Esso è circondato da due robuste cortine di mura concentriche munite di torrette di guardia collegate tra loro da un percorso interno Una porta sormontata da un barbacane e dotata di una saracinesca immette nella cinta interna, mentre per accedere al cortile occorre superare una doppia porta all'interno di una torre. Il percorso per addentrarsi fino al nucleo centrale del castello ricorda un labirinto ed è organizzato in modo strategico per compartimenti isolati, costantemente sotto il controllo delle torri e di misteriose teste scolpite nella pietra.
Le torri sono munite di feritoie, strette aperture verticali per il tiro con gli archi e le balestre e di un coronamento di beccateli: in caso di assalto i difensori facevano cadere sui nemici attraverso le aperture tra i beccatelli (caditoie) pietre e proiettili di vario tipo.
Il corpo centrale del castello ha forma di pentagono irregolare, munito di torri circolari agli angoli e quadrate al centro dei lati più lunghi.
E' difficile oggi stabilire con esattezza la destinazione originaria dei locali, cancellata da secoli di abbandono; le uniche indicazioni si ricavano da un inventario del 1551.
Nel semiinterrato si trovano le cantine, i vani al piano terreno, più bui e disadorni, erano destinati ad un uso di servizio: il grande salone d'ingresso era occupato dal corpo di guardia, altri locali servivano da deposito di attrezzi, da dispensa e da legnaia, mentre la cucina è riconoscibile dal gigantesco camino.
Al primo piano era situata l'abitazione del signore, con il principale ambiente di rappresentanza, il salone con la cappella affrescata.
Al secondo piano si trovavano gli alloggi per gli ospiti, per il personale di servizio e il granaio. L'approvvigionamento idrico era garantito dalla cisterna, situata in un vano al piano terreno aperto verso cortile.
Sulla parete di fondo dello scalone del cortile è raffigurato San Giorgio che libera la principessa; lungo le pareti del ballatoio al primo piano una teoria di Saggi recanti un cartiglio con un motto in francese antico.
Il ciclo prosegue nella cappella con la Crocifissione che faceva da sfondo all'altare e la Madonna di Misericordia che accoglie sotto il manto diversi membri della famiglia Challant,; al di sopra di questa raffigurazione e sulle pareti laterali sono rappresentati gli Apostoli e i vari Santi a figura intera.
La realizzazione di un ciclo così imponente, che nelle intenzioni del committente, allineava Fenis alle residenze dei maggiori rappresentanti della politica europea, dovette impegnare diverso maestri; la scelta di Bonifacio di Challant caddè su un atelier legato ai modi del gotico internazionale, il lin guaggio figurativo più consono a esprimere lo spirito e il costume della raffinata vita di corte.
Il modello d'ispirazione è quello del principale pittore della corte sabauda all'epoca di Amedeo VIII , il torinese Giacomo Jaquerio: il ricorso a schemi jaqueriani è evidente sia negli impianti compositivi generali, sia nelle attitudini e nelle fisionomie delle figure