domenica 29 gennaio 2017

Audacia





“Qualunque cosa sogni d’intraprendere, cominciala. 
L’audacia ha del genio, del potere, della magia. ” 

( Goethe )



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mercoledì 25 gennaio 2017

Gli undici giorni più misteriosi nella vita della Signora del giallo






Potrei iniziare con Lady Mallowan, proseguire con Mary Westmacott, continuare con Clarissa Miller e approdare, finalmente, ad Agatha Christie: sono la stessa persona. La prima riguarda il secondo marito della Christie, Sir, Max Edgar Lucien Mallowan, archeologo e scrittore, sposato nel 1930 dopo il divorzio dal primo marito Archibald " Arcie " Christie, ufficiale della Royal  Flyng Corps; la seconda è lo pseudonimo con cui Agatha scrisse molti romanzi rosa; la terza sono le generalità da ragazza prima di sposarsi con Arcie, la quarta è il nome con cui è universalmente conosciuta, frutto dunque di uno dei suoi nomi di battesimo e il cognome del primo marito che per ragioni commerciali Agatha mantenne anche dopo il divorzio. Come si può notare ragionamenti contorti da nevrosi galoppante.









Il 3 dicembre 1926, a 36 anni, Agatha scomparve misteriosamente. La sua auto, una Morris Cowley, fu ritrovata in folle con i freni non tireti in fondo a una scarpata alta 200 metri. Di lei, nessuna traccia. nell'Aprile dello stesso anna, Agatha aveva perso la mamma, Clara Boehmer, alla quale era affezionatissima dopo la morte del padre, Fred Miller, quando lei aveva solo 11 anni. Quattro mesi dopo il marito Archie le aveva chiesto il divorzio per sposare la sua segretaria, Nancy Neale, di cui era perdutamente innamorato. Agatha e Archie si erano sposati nel 1914 e avevano una figlia Rosalind nata nel 1919.









Ma torniamo alla scomparsa della Christie. Come potete immaginare la sparizione metteva in evidente difficoltà il marito poichè, conosciuta da tutti la storia con Nancy, gli inquirenti, tra le tante ipotesi, inclusero anche quella che Archie avesse occultato il cadavere della moglie. All'epoca Agatha era già abbastanza nota per aver inventato l'investigatore privato belga  Hercule Poirot  e aver pubblicato numerosi romanzi dopo Misterious Affaire at Sttyles del 1920.







Le ricerche della Christie proseguirono senza esito per diversi giorni e nonostante il marito ripetesse di non sapere dove potesse essere Agatha la sua posizione si fece sempre più difficile e la polizia pretese che comunicasse ogni suo spostamento, fino a privarlo del passaporto. Il 14 dicembre due poliziotti, nello spulciare l'elenco degli ospiti di un albergo nella località termale di Harrogate, Yorkshire, notarono che una certa Teresa Neale vi alloggiava proprio dalla sera del 3 dicembre. Trovata la donna in apparente stato confusionale, la polizia fece arrivare in tutta fretta Archie e questi, liberato da un incubo, confermò che Teresa Neale altri non era che Agatha Christie.








Perchè si registrò con il cognome dell'amante del marito? Perchè la messa in scena dell'auto nel burrone? Voleva forse vendicarsi di Archie per averla tradita così platealmente nella loro stessa casa? Non lo sapremo mai perchè Agatha si trincerò in un mutismo assoluto e anche nelle sue memorie non accenna minimamente a questo episodio; e perchè, stranamente, su questa storia cadde subito il silenzio.








Durante le festività natalizie dello stesso 1926, Agatha partì con la figlia Rosalind per le Canarie e al suo rientro ricominciò a scrivere come se nulla fosse successo. Chissà, forse Miss Marple, che all'epoca non era ancora stata inventata, avrebbe potuto risolvere il caso...





( Sergio De Benedetti, Libero del 1 dicembre 2016 )
( Fotografie dal web )
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lunedì 23 gennaio 2017

Io NON sono Charlie






Charlie Hebdo torna a prendere per il culo le disgrazie italiane. Stavolta nel mirino del sedicente giornale satirico francese sono finite le vittime della slavina dell'Hotel. Un'altra vignetta scandalosa. La morte con la sua falce arriva sugli sci e travolge quel che trova sul fianco di una montagna. Le parole dentro il disegno sono penose " Italia. La neve è arrivata. E non ce ne sarà per tutti ".
Già ad Agosto, subito dopo il terremoto di Amatrice, Charlie Hebdo aveva pubblicato una vignetta che raffigurava un macabro piatto di lasagne composto da macerie e vittime. Insomma, ce l'hanno con noi.














E dire che quando la redazione del periodico parigino fu decimata dalle mitragliate di due membri dell'Isis nessuno, e sottolineo nessuno, qui in Italia si era sognato di condannare la loro satira nei confronti dell'Islam. Quasi tutti invece sposarono il motto " Je suis Charlie ". Per solidarietà, perchè non si può uccidere uno per le sue idee, perchè la libertà di espressione è sacro e perchè è sacrosanto criticare chi - come gli islamici - non è proprio tollerante con noi occidentali.
Però che senso ha irridere chi è stato colpito da un disastro naturale. Capisco che le ideologie e perfino le interpretazioni delle religioni possano essere oggetto di satira. Anche pesante. Sono cose umane. Ma non fa ridere un morto per slavina. No. Piuttosto fa schifo il solo pensare di disegnare una vignetta burlona.
Ieri su FB sono piovuti contro Charlie milioni di insulti. Sacrosanti. Quando una inventa un'immagine del genere, la morte che arriva sugli sci, infatti non ha più il diritto di esprimere il proprio pensiero. Ha oltrepassato il limite. E chi supera il confine va punito. Se il nostro governo avesse i cosi detti dovrebbe chiedere all'esecutivo francese di chiudere quello che una volta si poteva considerare un settimanale, Non ha più senso leggerlo.
Se Charlie è costretto a sputare addosso ai defunti per farsi pubblicità, significa che ha finito la sua missione, semmai ne ha avuta una.









Fa ridere dopo aver visto la vignetta della morte, leggere le polemiche contro Matteo Salvini perchè si è presentato in televisione con i dopo - sci, per testimoniare la sua vicinanza ai terremotati sommersi dalla neve e dimenticati dallo Stato. L'hanno definito " sciacallo " perchè in maniera civile, e quasi raffinata, ha criticato l'operato della Protezione Civile in centro italia. Se lui è sciacallo, cosa sono quelli di Charlie?. Non esiste nel vocabolario una parola appropriata. Quelle peggiori sono finite.

mercoledì 18 gennaio 2017

Rubens, alle radici del Barocco





Come vi avevo già accennato precedentemente nel mese di dicembre ho avuto l'opportunità di visitare la grande mostra che Milano dedica a Rubens e alla nascita del Barocco e che desidero condividere con voi 








L'intento dell'esposizione parte da una logica rovesciata rispetto alle precedenti ,mostre dedicate al maestro di Anvbersa; non si tratta del Rubens fiammingo e della sua scuola, di cui fece parte anche il grande Antoon van Dyck, ma dell'eredità che negli otto anni di permanenza in Italia il pittore lasciò agli artisti locali più giovani, quegli allievi putativi che l'acuto Giuliano Briganti identificò come la " generazionedegli anni '30 del XVII secolo, fautori del Barocco.. Tra questi ovviamente, Gian Lorenzo Bernini, oltre a Domenico Fetti,  Pietro da Cortona, Giovanni Lanfranco. Tutti furono accomunati dall'appasionato studio delle opere che Rubens aveva lasciato in Italia, anche se nessuno di loro fu mai allievo diretto del grande maestro d'Oltralpe.









Senza dubbio quindi la mostra si basa su un punto di vista finora poco esplorato, rafforzato dal notevole numero delle opere in mostra: più di 70 di cui 39 si devono alla creatività di pier paolo Rubens, con solo tre copie di bottega e alcune, pochissime,che forse non sono all'altezza di tale importante mostra.









Mi soffermerò per mio personale interesse sul rapporto tra  il maestro d'Anversa e Gian lorenzo Bernini; il rapporto tra Bernini e Rubens è fondamentale per la nascita del Barocco, in quanto il giovane artista, dopo il tirocinio nella bottega del padre Pietro Bernini, scultore di di cultura manierista, elaborò una sintesi tra il naturalismo di Caravaggio e lo stile concitato di Rubens. Un modello per Gian Lorenzo furono le tre pale di Rubens che si trovano nella chiesa di Santa Maria in Vallicella a Roma e sicuramente altre opere del periodo romano.









Da Rubens quindi il Bernini assimila il grande dinamismo delle forme e l'esasperazione del movimento, per non parlare dell'enfatizzazione dei sentimenti, creando un rapporto tra soprannaturale e reale, anche attraverso la presenza di prosperosi angioletti, tutti motivi che saronno tipici del nuovo linguaggio. Tale r4elazione è stata indagata per la prima volta da Federico Zeri e Mina Gregori, poi, più approfonditamente, sviluppata da Francesco Petrucci nel suo volume Bernini pittore del 2006 in cui è stato presentato come opera del Bernini anche il Sansone che strangola il leone, suggestiva opera oggi in mostra a Milano ed esempio tipico dell'influsso rubensiano.








Nella prima sezione della mostra si possono ammirare il ritratto della figlia Chiara Serena di Rubens, e il Ritratto di fanciullo opera pittorica di Bernini, queste due piccole ma mirabili opere condividono la medesima, grandiosa capacità di rappresentare non un soggetto in posa ma due bambini nella freschezza della loro gioventù, cogliendo nei loro sguardi l'espressione più vera dell'innocenza.














Particolarmente significativo è l'accostamento tra la Maddalena in estasi che Rubens dipinse per la chiesa francescana di Ghent, oggi a Lille, e il bozzetto di terracotta per la celeberrima Estasi di Santa Teresa d'Avila di Bernini: si tratta di due emblematici esempi di come il tema del deliqui religioso venne interpretato in epoca barocca.












Particolarmente degno di nota è anche il confronto tra la Testa di Lacoonte in marmo del Bernini e la Cattura di Sansone di Rubens: ancora una volta si palesa quanto la capacità di resa delle espressioni umane, tipica dello scultore italiano, abbia tratto insegnamento dal colorismo del pittore fiammingo.













La selezione delle opere proposta dal curatore Anna Lo Bianco è ammirevole per importanza storica oltre che per l'accuratezza dei confronti tra i vari artisti in percorso dialogante. Non si tratta di una mostra  " a pacchetto ", cui purtroppo sempre più spesso si assiste, ossia composta da opere  provenienti da pochi prestatori e quindi facile da " mettere insieme "; l'esposizione è stata creata grazie al contributo di puù di quaranta prestatori, con uno sforzo intellettuale e pratico sempre più raro.









Anche l'allestimento dell'architetto Corrado Anselmi, estremamente sobrio ma diviso per colori a seconda della tematica, contribuisce al taglio divulgativo dell'esposizione. D'altra parte, la realizzazione scientifica della mostra è stata condotta da un comitato scientifico non solo internazionale, ma di particolare pregio, tra cui si annoverano Alejandro Vergara, del Prado di Madrid, e David Jaffè, tra i massimi esperti di Rubens. I contributi di questi studiosi sono raccolti nel bellissimo catalogo di Marsilio editore che ora fa bella mostra di sè nella nostra libreria e tra le cui pagine si scopre un altro tesoro: in occasione della mostra , la studiosa italiana Cecilia Paolini ha condotto una ricerca archivistica che ha portato alla scoperta di documenti inediti riguardanti la famiglia Rubens durante il soggiorno in Italia del grande pittore.









Rubens e la nascita del Barocco, dunque, non è soltanto una mostra di grande richiamo, ma anche un evento dai profondi contenuti culturali, in una Milano che si configura sempre più come una grande capitale europea.



























( Fonte Fabiano Forti Bernini )
( Fotografie dal web )



Rubens e la nascita del Barocco
Milano - Palazzo Reale fino al 26 febbraio 2017

giovedì 12 gennaio 2017

Il Libro dei Baltimore di Joel Dicker





Durante le vacanze di Natale ho letto ( bevuto? ) questo libro e come con i precedenti ne sono rimasta assorbita e incantata. Sara troppo azzardato ritenerlo degno del Mann dei " Buddenbrook" ?









Joel Dicker, scrittore svizzero francofono appena trentunenne, è così bravo da far sospettare di non essere vero. Per carità, nella a che vedere con il mistero dell'identità di Elena Ferrante. Il fatto è che io, e con me moltissimi altri, sono rimasta incantata dalla perfetta struttura del suo primo romanzo uscito in Italia La verità sul caso Harry Quebert, capace di acchiappare il lettore e tenerlo incollato alla pagina senza ricorrere nè a evidenti sotterfugi narrativi che moltiplicano i colpi di scena amplificando la suspance, nè alla cifra esplicitamente erotico - sessuale che ha fatto la fortuna delle varie " sfumature " spacciate per letteratura, evitando, altresì, accuratamente ogni immagine splatter intesa a sollecitare certo gusto un po' voyeristico be un po' goloso di emozioni forti che decreta la fortuna di molti romanzi di sedicenti scrittori di casa nostra appartenenti alla generazione precedente quella di Dicker.









Poi è uscito Gli ultimi giorni dei nostri padri, suo romanzo di esordio, dedicato ad un episodio di spionaggio della Seconda Guerra Mondiale, e in quel caso il lettore - pur ritrovando la scrittura pulita ma efficace che contraddistingue Dicker e l'architettura narrativa fatta di continue alternanze tra le vicende dei personaggi ( in questo caso un gruppo di giovani spie addestrate in Inghilterra) - rimane un po' deluso: le pagine non chiedono di essere sfogliate con quella fascinazione ipnotica creata nell'altro romanzo, e alla fine il giudizio è positivo, ma lontano dall'entusiasmo precedente.









E adesso il terzo romanzo. Il Libro dei Baltimore  e la magia è tornata a convincermi. Il protagonista è nuovamente Marcus Goldman, uno scrittore di successo chiamato a fare i conti con la propria storia famigliare Marcus ( come ne La verità sul caso Quebert ) parla in prima persona, e ancora una volta imposta il romanzo come meta - narrazione, ovvero lo scrittore racconta il romanzo nel suo farsi, spiegando perchè esso nasca e seguendo quali criteri, non trascurando di alludere ancora alle dinamiche non sempre trasparenti del mercato editoriale.









In epigrafe avrebbero potuto esserci i famosi versi del Metastasio " Se a ciascun l'interno affanno /  Si leggesse in fronte scritto/ Quanti mai, che invidia avranno /  Ci farebbero pietà "; infatti la saga dei Goldman che è caratterizzata dalla storia delle famiglie di due fratelli, ciascuno dei quali ha avuto un figlio maschio: Marcus ( che scrive e narra ) e Hillel ( cugino amato, ammirato, invidiato ), ma diversa fortuna nella vita, simboleggiata dal luogo di residenza. Marcus vive con i genitori, modesti impiegati, a Montclair, piccola cittadina anonima del New Jersey; il cugino Hillel vive a Baltimore in un quartiere residenziale di lusso come si conviene a una famiglia in cui il padre è noto avvocato penalista e la madre un medico apprezzato. Lo status caratterizzato dalla diversa residenza finisce per determinare l'identità dei due nuclei che nel lessico famigliare perdono il cognome comune per diventare rispettivamente i Montclair e i Baltimore.









Modestia contro ricchezza, semplicità contro privilegi, anonimato contro celebrità, i secondi sono destinati a suggestionare e stordire il giovane Marcus, al punto da desiderare di essere figlio degli zii facoltosi e amorevoli, fratello del cugino e del lui compagno di giochi e poi di adolescenza e giovinezza, Woody,  adottato dai Baltimore come secondo amatissimo figlio.










Quella che poteva diventare una noiosissima saga famigliare  riesce ad offrirsi come una storia di legami sentimentali, amicali ( la mitica " Gang dei Goldman" che lega i tre cugini ) e professionali sui quali incombe, fino dalla prime pagine, " La Tragedia " ( che verrà svelata solo alla fine ); dove le sfortune dell'uno corrispondono alla fortuna dell'altro per poi ribaltarsi improvvisamente; dove l'invidia, declinata nella sua forma meno appariscente, ovvero l'ammirazione per chi sembra avere ed esser più e meglio , ti costringe ad innalzare il livello delle tue prestazioni oltre il limite concesso, preparando il disastro.









Dicker, dicevo all'inizio, è bravo a narrare senza incorrere nella banalità del dejà vu , ma cogliendovi piuttosto l'originalità della declinazione moderna; sa costruire l'edificio narrativo, al netto degli arzigogoli intellettualistici contemporanei, come un palazzo del passato, evitando ogni sapore di muffa. Poi, di tanto in tanto, ci dice o allude, magari sotto metafora parlando del mondo musicale, che l'industria editoriale è una truffa e quanto sia perverso il rapporto tra autori, editori e libri trattati alla stregua di puri prodotti, perchè la bellezza, l'arte, l'estetica e i valori ad essa connessi non si possono commercializzare e quindi non sono interessanti.








Perciò viene da chiedersi: ma questo giovanissimo scrittore è bravissimo o è il risultato di una sapiente alchimia da laboratorio editoriale? Lascio a voi la risposta, per quanto mi riguarda oggi è sicuramente uno tra i migliori.






( Immagini dal web )

martedì 10 gennaio 2017

Il gelo, il barbone e la cagnolina Bianca





" Meglio morire " non ha dubbi Paul senzatetto  che vive per le strade di Milano. Stringe tra le braccia la sua cagnolina, un chihuahua chiaro, di nome Bianca. Non vuole rinunciare a lei per poter trascorrere le ore notturne all'interno dei rifugi allestiti per i clochard e nei quali è vietato l'ingresso ai cani, così preferisce sfidare la morte e il gelo piuttosto che stare senza la sua piccola Bianca.
Ogni estate centinaia di cani vengono abbandonati a un destino di morte certa da chi è pronto a tutto pur di fare una vacanza e in inverno c'è chi non abbandona il suo  neanche per salvarsi la vita.









In queste notti il freddo penetra nella carne come milioni di spilli, Paul, e tanti altri come lui, si difende come può. Alcuni hanno un paio di guanti sdruciti, Paul indossa infradito e due calzini lindi, che lava ogni mattina insieme al resto delle sue poche cose in una lavanderia pubblica.
Bianca lo aspetta davanti all'ingresso e se qualcuno fa cadere una moneta nel cappellino che le sta davnti lei prontamente ringrazia con un inchino. E' felice Bianca. Si è davvero ricchi con poco quando non si possiede proprio nulla, al di fuori di un sacco pieno di tutto ciò che può essere utile e che Paul e Bianca si portano dietro ovunque.









Divieto di accesso, anzi di salvezza, per i cani. Per loro dal freddo non c'è riparo. Così i senzatetto sono costretti a decidere tra la vita e la morte. Una scelta a cui nessun essere vivente dovrebbe essere condannato. E pure la nostra civile società li obbliga a farla. E allora preferiscono non abbandonare al gelo i loro amici a quattro zampe, facendo di un angolo di marciapiede  un comune giaciglio, rischiando la vita e , non di rado,morendo congelati.









Uniti nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, nella stagione calda e in quella fredda. Nella vita e nella morte. E' un rapporto d'amore dei più nobili quello che lega cane  e uomo. E lo diventa ancora di più nella miseria o nella solitudine, due condizioni condivise da entrambi. Due destini segnati dall'abbandono e dall'invisibilità e che si intrecciano in un abbraccio indissolubile che rende l'esistenza insieme più sopportabile e meno amara.
In fondo si è davvero poveri quando manca una carezza, o la capacità di saperla fare.








E' facile in queste fredde notti Milanesi alla sera, tornando a casa imbattersi in dolci scene d'amore come quella che offrono alla vista Paul e Bianca. Un musetto bianco, oppure marrone o nero, esce da sotto la pancia di un silenzioso signore, che custodisce quell'esserino come se fosse tutto ciò che gli resta al mondo, la sua vita stessa. Gli occhietti chiusi, il cagnolino già dorme e sembra lieto. chissà cosa sogna? Chissà se è felice e se sa di essere un cane barbone senza una casa?








Me lo sono chiesta tante e tante volte e adesso ho capito: Bianca non sa di essere povera. Non le manca nulla. Con orgoglio ogni mattina fa la sua piroetta davanti al suo umano che le sorride con gli occhi pieni d'amore e ogni sera si rifugia nella sue braccia fino all'alba, che li sorprende abbracciati.
Lei, pur non indossando abitini costosi e collari tempestati di brillanti che ora vanno tanto di moda, pur non guardando il mondo da una Birkin gag di Hermes tenuta al braccio di qualche ereditiera annoiata, crede di essere una principessa e che quel lembo di strada sia la sua reggia. Lei crede di essere la cagnolina più fortunata del mondo. E lo è







giovedì 5 gennaio 2017

Storie di Natale, Uno dei Re Magi di Piero Bargellini



Uno dei Re Magi
di Piero Bargellini


No, non crediate che io sia un mago da fiaba. Non ho bacchetta fatata né faccio incantesimi.
 Nel nostro paese, che è la Persia, mago vuol dire sapiente, cioè studioso.
 Anche noi avevamo molto studiato, specialmente sul libro chiamato Avesta.
Le nostre spalle si erano incurvate su quel libro. Le nostre barbe erano diventate bianche nello studio.
Il libro annunziava la venuta di un "saggio signore o, di un "vittorioso Liberatore" degli uomini.
Prima di noi, generazioni e generazioni di sapienti avevano atteso questo miracoloso personaggio, 
ma sempre invano.









Ormai eravamo vecchi, e temevamo di dover chiudere gli occhi senza aver visto il Liberatore. 
Guardavamo il cielo, in attesa di un segno annunziante la sua venuta.
Ed ecco una stella di straordinario splendore farci segno di seguirla.
Partimmo felici, montati sulle migliori cavalcature, vestiti riccamente con le corone in testa 
e i doni in mano.
Non sarebbe stato conveniente presentarsi a quel gran personaggio senza regali.









 Uno di noi prese una coppa d'oro simbolo di potenza regale, 
un altro prese un'anfora piena d'incenso simbolo d'onore sacerdotale, 
l'altro ancora prese un calice di mirra simbolo di redenzione.
La stella ci faceva da guida. Nessun corteo aveva mai potuto vantare un simile battistrada. 
Valicammo monti, attraversammo pianure, guadammo fiumi e incontrammo città, 
senza che la stella accennasse a fermarsi.







Giunti a Gerusalemme, il re Erode fu avvertito del nostro arrivo. 
Seppe che cercavamo il Re dei Giudei e chiese ai suoi sapienti:
- Dove dicono i libri che deve nascere il Redentore?
Anche gli ebrei avevano un libro chiamato Bibbia, dove era annunziata la venuta del Salvatore.
 Perciò i sapienti risposero al re Erode: - Betlem sarà la sua culla.
- Andate a Betlem, - ci disse Erode - e al ritorno mi narrerete di lui.








Riprendemmo a viaggiare, e la stella viaggiava con noi, finché non si fermò sopra una povera stalla. Trovammo il Bambino fasciato e deposto nella mangiatoia, fra due animali. 
Quale abbandono e quanta miseria! Il Re del mondo giaceva su paglia trita, 
senza corte d'attorno e senza onori.
A quella vista, la nostra sapienza si confuse. Avevamo sperato di trovare un potente Re in una reggia sfarzosa, in mezzo a ricchezze e a splendori.








Vedendo tanta umiltà ci sentimmo umiliati.
 Mettemmo fuori i nostri doni: oro, incenso e mirra.
 Il Bambino ci guardò come per accettarli, ma noi sentimmo che non bastava offrir quei soli doni.
 Egli non s'appagava né d'oro né d'incenso né di mirra. 
Voleva insieme il nostro cuore, e lo voleva ripieno di quella ricchezza che non s'estingue mai, 
e che si chiama Amore.








A questo Amore, che si traduce in Carità, 
la nostra scienza di vecchi sapienti non aveva mai pensato.
Ce lo insegnò un bambino, nato da poco, in una stalla, 
con un sorriso che ringiovanì il nostro vecchissimo cuore.





( Fotografie dal web )

Piemontesità

Piemontesità
" ...ma i veri viaggiatori partono per partire, s'allontanano come palloni, al loro destino mai cercano di sfuggire, e, senza sapere perchè, sempre dicono: Andiamo!..." ( C.Boudelaire da " Il viaggio")