martedì 31 maggio 2016

Bentornato Salvatore!





Dopo una lunga odissea. durata quattro anni, Salvatore Girone è tornato a casa grazie all'intervento del Corte dell'Aja  visti i fallimenti dell'inutile diplomazia italiana.
Sciolgo il nastro giallo che quattro anni fa ho legato alla ringhiera del mio balcone, Salvatore Girone
è tornato a casa, in questo momento è questo quello che conta, della pessima gestione di questa storia da parte dei vari governi che si sono succeduti ( Monti, Letta e Renzi ) e dei due Presidenti della Repubblica ( Napolitano e Mattarella) abbiamo già avuto modo di parlare e magari ne riparlerò in seguito. La cosa importante è che Salvatore sia finalmente a casa e speriamo che possa essere quanto prima raggiunto dall'amico fedele che gli ha fatto compagnia in questi terribili anni: il cane Argo, anzi il " sergente Argo" ( come lo ha battezzato Salvatore ) ancora trattenuto in India per motivi burocratici .
Questo cane l'avventura ce l'ha nel sangue, o meglio nel nome. E' infatti stato chiamato Argo in onore del celebre cane appartenuto ad Ulisse e protagonista di una delle scene più toccanti della storia della letteratura. Allevato come cane da caccia e dovutosi riconvertire alla dimensione domestica causa coscrizione del padrone, l'Argo omerico passa vent'anni ad attendere il ritorno di Odisseo. Nonostante la decrepitezza ( il poeta lo descrive " disteso su cumuli di letame di muli e buoi addossati dinanzi all'ingresso e tormentato dalle zecche" ) sarà l'unico essere vivente in tutta Itaca a non farsi prendere per il naso dai trucchetti di Atena e a riconoscere il padrone travestito da mendicante: giusto il tempo di una scodinzolata con le orecchie basse prima di cadere" preso dal Fato della nera morte "
Il " Sergente Argo " in questi mesi è stato per Girone un compagno molto speciale che l'ha aiutato in questa terribile esperienza, spero quindi di poterli sapere presto riuniti.
Per intanto godiamoci la bella notizia, bentornato Salvatore e un abbraccio!
              


giovedì 26 maggio 2016

Cristoforo Colombo, la lettera sulla scoperta dell'America rubata a Firenze e scovata negli USA






Come tutti sappiamo dalla scuola dell'obbligo, il 14 ottobre 1492 Cristoforo Colombo scopre l'America e inaugura l'epoca moderna. Ci hanno anche detto che pensava di andare in Cina, e in realtà lui credeva di trovare il Giappone, ma poco male, si sbagliava comunque di grosso.
A ogni modo non stupisce che una lettera di Colombo. indirizzata ai regali finanziatori della sua prima spedizione, Ferdinando D'Aragona e la sua protettrice, la regina Isabella di Castiglia, contenente una prima relazione su " de insulis nuper inventis ", le isole appena scoperte, venga quotata circa un milione di euro. Stupisce invece il caso denunciato la scorsa settimana in una conferenza stampa dal Comandante dei Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale, Mariano Mossa, che insieme con il ministro Dario Franceschini ha rivelato che almeno due copie della lettera, conservate in biblioteche italiane, sono state rubate e sostituite con falsi, ma, buona notizia, una è stata ritrovata, quella cioè che vale un milione di euro, e stava, com'è logico, in America.









Ma ricostruiamo il giallo passo dopo passo. Innanzi tutto il corpo del reato, la lettera di Colombo. Come dice il titolo latino, l'epistula non è il manoscritto originale, molto probabilmente in spagnolo,, datato 4 marzo 1493, e indirizzato, per ragioni di forma, non direttamente alla corte di Spagna, ma al ministro delle finanze Luis de Santangel, che aiutò il navigatore genovese a convincere la regina Isabella a promuovere il suo viaggio, ma una trentina di copie stampate il successivo 29 aprile, in traduzione latina dal letterato Leandro de Cosco, dal tipografo tedesco, ma attivo a Roma, Stephan Plannck. Chi avesse voglia di consultare una di queste versioni, senza attendere dall'America il rientro di quella rubata, può farlo alla biblioteca Marciana di Venezia o alla biblioteca cCivica di Fermo. Ma poichè del manoscritto originale di Colombo si sono perse le tracce, le treduzioni stampate da Plannck sono un documento prezioso.









Nella lettera di 8 pagine colombo illustra le sue impressioni circa le tribì, la flora e la fauna delle due isole che battezzò Hispaniola ( l'attuale Santo Domingo ) e Cuba, e che definì, ancora ignaro dell'immenso continente che aveva scoperto, come "insulis Indie supra Gangem ", le Isole delle Indie sopra il Gange. Nel 2012, il Dipartimento della giustizia USA riceve una soffiata bomba da un informatore: la lettera di Colombo in mostra alla Bibblioteca Riccardiana di Firenze è un falso, l'originale si trova nella Biblioteca del Congresso di Washington.









Gli americani informano i Carabinieri, e cominciano le indagini, che riguardano anche le attività di Massimo De Caro, ex direttore della biblioteca dei Girolami di Napoli, condannato in via definitiva a sette anni per aver sottratto e venduto all'estero volumi che avrebbe dovuto invece custodire gelosamente. Alle ricerche si incrocia anche la segnalazione dell'allora direttore della Biblioteca Nazionale di Roma che denuncia il furto di alcuni libri rari. Si scopre così che non solo la lettera di Colombo alla Riccardiana è falsa ma pure la copia della Biblioteca Nazionale. E che quella conservata nella Biblioteca del Congresso è proprio quella rubata a Firenze; infatti è stato sbiancato il timbro della Riccardiana.









Il direttore della Riccardiana ha spiegato che la lettera,conservata in un volume insieme ad altri documenti, è stata consultata da un solo studioso, controllato a vista, e mai prestata. Però dal
28 luglio 1950 al 5 aprile del 1951, venne inviata a disposizione della Biblioteca Nazionale di Roma, che come avrete capito dalle citate denunce di furti, aveva notevoli falle in termini di sicurezza.









Ecco che quasi sicuramente in quel lasso di tempo l'originale prende il volo e virene realizzato un falso - che gli esperti possono discernere da dettagli come la legatura, la grafia dei numeri di pagina, il formato dei fogli - che viene restituito alla Riccardiana in sostituzione dell'originale. Il quale viene venduto nel 1990 a un collezionista svizzero, poi acquistato a un'asta da Christie's nel 1992, a New York. E, nel 2004, viene ceduto dall'ultimo acquirente ( ignaro della provenienza illecita ) alla Biblioteca del Congresso, da dove, finalmente, tornerà alla sua sede originaria, la Riccardiana di Firenze.









E della copia rubata alla Nazionale di Roma? Non si sa nulla, gli inquirenti hanno sequestrato la copia falsa, che potrebbe dare qualche indizio utile al ritrovamento dell'originale. Qualora avvenisse ci auguriamo una vigilanza più scrupolosa....





( Giordano Tedoldi, Libero del 19 maggio 2016 )
( Fotografie dal web )

martedì 24 maggio 2016

L'entrata nella Grande Guerra, festa ( dimenticata ) di una vittoria





Domani sarà martedì 24 maggio, giorno in cui - nel 1915 - l'Italia entrò nella Prima Guerra Mondiale.
Un tempo era festa nazionale, ma dal 1956 è stata abolita e pure l'altra data riferita alla grande guerra, il 4 novembre, è diventata la giornata dell'Unità Nazionale e, in second'ordine " Festa delle Forze Armate "









Della vittoria, di quella guerra che restituì Vittorio Veneto al nostro Paese, nessuno parla più:
Arco, ala, Monfalcone, Avio; sono solo nomi ospitati in polverosi archivi, e invece erano, con Trento e Trieste; le località per le quali l'Italia si batteva attraversando il Piave "...per raggiunger la frontiera per far contro il nemico una barriera..."









Domani dunque sarà il 24 maggio di cento uno anni dopo, e davvero rimane poco o niente di quella memoria, di quella canzone che, tutti lo ricorderanno, aveva commosso alle lacrime il battagliero Peppone nel suo comizio contro le guerre e aveva fatto piangere Don Camillo, che dagli altoparlanti della Chiesa sparava le note del " Piave " sulla piazza.









Di quella memoria, di quella canzone scriveva Giovannino Guareschi su Candido n.23 del 1956, in un articolo che conserva - oggi come allora - la struggente, attualissima malinconia che l'autore provava di fronte a quell'Italia che metteva nel dimenticatoio le vittorie e celebrava, invece, le sconfitte.









" Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il 24 maggio (...) 
Ma adesso l'ha finita di mormorare: la Repubblica gli ha tolto la parola perchè, a conti fatti, quella del 24 maggio è risultata una data aggressiva "









Sono passati cento uno anni e chissà se lo riesumeranno, il 24 maggio; fingendo ancora di non averlo completamente dimenticato. Sentiremo tante belle frasi, sentiremo per l'ennesima volta condannare le guerre, comprese quelle vinte. Ma non ci sarà un Don Camillo a far sentire sulla piazza la " Canzone del Piave " e soprattutto non ci sarà un Peppone a commuoversi e a proclamare il proprio patriottismo.









Ci saremo forse noi nipoti e pronipoti a ripensare ai nonni in grigioverde e a quel fazzoletto giallo con sopra la carta dell'Italia nuova: unica ricompensa per chi aveva combattuto con la fierezza di essere Italiano, con la I maiuscola!.





( Immagini dal web )





post signature

venerdì 20 maggio 2016

Lieti Calici: Castel del Monte Rosato






La vita è troppo breve
per bere vini mediocri.
Johann Wolfgang von Goethe (1749 – 1832)







Carta d'Identità


Denominazione:     Castel del Monte doc

Vitigni principali:   Bombino nero, Aglianico, Uva di Troia.

Gradazione alcolica minima:  11 gradi



****************************************************************************



Caratteristiche

Colore:    Rosato con tonalità rubino

Odore:     Vinoso con caratteristiche fruttate

Sapore:     Asciutto, armonico, gradevole



********************************************************************************



Servizio

Temperatura:    14 °C

Abbinamenti:     Cernia in casseruola con calamari, orata al cartoccio, scorfano in umido, anguilla 
                             alla griglia, zuppe di pesce, baccalà in umido bianco; costolette di agnello alla 
                             brace, paillard di vitello, coniglio alle olive, insalata di carne trita di manzo.




********************************************************************************








La Puglia è una terra particolarmente feconda dove le colture ortofrutticole si succedono senza soluzione di continuità, e tra queste particolarmente  rigogliosa è la viticoltura.









La Zona


Una piccola ma rinomata zona di produzione è Castel del Monte, che si trova sulle colline delle Murge, a Nord Ovest di Bari, dove vengono prodotti ottimi vini bianchi, rosati e rossi. Lì da qualche anno si è operato per migliorare i vitigni già esistenti e si è sperimentato l'impianto di nuove varietà non autoctone, anche di provenienza estera.









La località è nota non solo per la vocazione enologica, ma anche per l'imponente castello, da cui prende il nome, edificato nel XIII secolo da Federico II di Svevia ( ed ecco come due delle mie grandi passioni, il vino e la storia medioevale, particolarmente quella di Federico II si uniscono ).
La costruzione posta sulla collina che domina la città di Andria, pare fosse stata disegnata proprio dall'imperatore svevo che ne seguì personalmente l'edificazione.









Sotto la dominazione sveva, la Puglia godette di un periodo di rinascita dal punto di vista artistico e commerciale; se ne avvantaggiò anche la viticoltura. Già in quell'epoca infatti le terre circostanti venivano coltivate e vite, che cresceva rigogliosa a fianco del mandorlo e dell'olivo.









Clima e terreno


La posizione e la geografia sono particolarmente adatti alla viticoltura per la compresenza di numerosi fattori; innanzi tutto la latitudine che garantisce un'adeguata esposizione solare, che consente una maturazione uniforme delle uve; quindi l'altitudine dei vigneti, impiantati lungo la fascia collinare compresa tra i 200 e i 500 metri sul livello del mare, dà luogo a un'escursione termica tra giorno e notte ottimale per la formazione di un buon corredo aromatico; infine, la vicinanza del mare, il cui respiro svolge una benefica funzione mitigatrice attenuando la calura intensa che caratterizza i mesi caldi in buona parte del Sud Italia.









A ciò si aggiunga la qualità del terreno, determinante nella caratterizzazione delle uve e di conseguenza del vino; si tratta in prevalenza di un suolo tufaceo calcareo che oltre i 300 metri di altezza diventa prevalentemente roccioso, il che garantisce un buon drenaggio delle acque.









Il Vino


In Castel del Monte Rosato nasce nella zona doc che comprende il territorio comunale di Minervino Murge e parte di una decina di comuni limitrofi, tra i quali Andria. E' ottenuto dalla vinificazione di uva Bombino nero, Aglianico, uva di Troia, che devono costituire almeno il 65 per cento delle uve impiegate. Possono quindi essere impiegati altri vitigni a bacca rossa purchè non aromatici.
La resa dell'uva deve essere di 130 quintali per ettaro, mentre il vino deve raggiungere un saggio alcolico minimo di 11 gradi.









Considerata l'ampia libertà che il disciplinare lascia in merito alla scelta delle uve, il vino può assumere differenti caratteristiche organolettiche. In linea di massima, però, i requisiti minimi fissati prevedono che debba avere colore rosato con tonalità rubino; odore vinoso con caratteristiche fruttate; sapore asciutto, armonico, e gradevole.









Il Castel del Monte a Tavola


Il Castel del Monte Rosato è un vino molto versatile, in grado di accompagnare preparazioni tra loro diverse e pertanto adatto  a essere servito a Tavola come vino da tutto pasto, da abbinarsi a tutte le portate  di un pranzo, eccezion fatta per il dessert. Vanno però escluse le preparazioni molto saporite a base di carne rossa e di selvaggina, così come quelle di pesce più delicate.









Il campo degli abbinamenti si mostra comunque molto vasto e ricco. In Puglia dove vengono prodotti numerosi rosati di elevata qualità si usa trattare questi vini come i vini bianchi, serviti freddi per accompagnare piatti di pesce.









Il pesce

Il Castel del Monte accompagna tutte le zuppe di mare, da quelle di pesce a quelle di soli crostacei e frutti di mare. E' inoltre adatto ad essere abbinato ai pesci azzurri, particolarmente saporiti, cucinati in qualsiasi modo ( griglia, forno, guazzetto ), tranne che in carpione. Si sposa inoltre con preparazioni di pesce cucinate in umido, al pomodoro, come la cernia con i calamari, lo scorfano e le triglie.









Vi sono inoltre varietà ittiche molto saporite come l'anguilla, che richiedono bianchi molto corposi o addirittura vini rossi, ma che in alternativa possono essere serviti con un buon rosato come il Castel del Monte, specie se preparate alla griglia. Lo stesso vale per il baccalà che, cucinato in bianco con le cipolle, richiede un vino dalla corposità di un rosato.








La Carne

Per quanto riguarda i piatti di carne, il Castel del Monte Rosato bene si accosta alle carni bianche saporite come il coniglio arrosto, le costolette di agnello alla brace, il pollo alla cacciatora, la punta di vitello al forno.Inoltre si può servire con tagliata di manzo tenuta internamente rossa, braciole di maiale in padella, mondeghili alla milanese.








Altre varietà di Castel del Monte


Nella medesima zona si producono due altri eccellenti vini.
Il bianco, ottenuto prevalentemente da uve pampanuto, alle quali è ammessa l'aggiunta non superiore al 25 per cento di altre uve a bacca bianca della zona. E' un vino bianco paglierino dal profumo delicato e gradevole che accompagna ottimamente antipasti, torte di verdure e piatti di pesce.
La leggenda vuole che fosse il vino preferito dell'Imperatore Federico II di Svevia.









Il Castel del Monte Rosso è prodotto con uva di Troia alla quale possono essere aggiunte sangiovese, montepulciano e aglianico in quantità non superiore al 35 per cento. Ha colore rosso rubino, profumo vinoso, sapore asciutto e armonico. Si abbina perfettamente con piatti di carne rossa e selvaggina.
Esiste anche una versione Riserva che richiede un invecchiamento di 3 anni e un tasso alcolico minimo di 12,5 gradi.




La ricetta: Scottadito di agnello










Risulta particolarmente felice l'abbinamento con l'agnello, perchè questo è sì una carne bianca, ma di spiccato sapore,. In particolare, l'agnello alla griglia esprime un gusto ben evidenziato a causa della forte evaporazione prodotta dal metodo di cottura utilizzato; in questo caso, però, la carne non deve essere condita con salse molto ricche come la bordolese ( al vino rosso ), perchè la renderebbe troppo sapida per poter essere accostata al Castel del Monte Rosato.


Il vino a sua volta dotato di buona corposità e ricchezza di profumi, armonizza pienamente con la preparazione, senza prevaricarne i sapori o mostrare cedimenti.Le costolette di agnello ai ferri, ossia le scottadito, sono chiamate così perchè tradizionalmente vengono consumate senza impiegare le posate, pertanto scottandosi le dita.


Ingredienti per 4 persone

8 costolette di agnello
1/2 bicchiere di vino bianco
1 limone
olio d'oliva
sale, pepe

Mettete le costolettine in una terrina, salatele, pepatele, bagnatele con il vino, il succo di mezzo limone e tre cucchiai d'olio. Lasciatele marinare per circa un' ora
.
Sgocciolate le costolettine dalla marinatura e mettetele a cuocere su una bistecchiera ben calda.

Cuocete a fuoco vivace per 2 minuti per parte, quindi abbassate la fiamma e lasciatele cuocere per altri 3 minuti circa per parte, a seconda del grado di cottura preferito.

Disponete le costolettine su un piatto da portata, decorate a piacere e servite subito con un contorno di patate al forno.




Le strade del Vino







(  Fotografie non contrassegnate " Il Tempo Ritrovato " dal web )
( Wall d'apertura di Audrey)



A questo punto vi invito a passare da Audrey che vi delizierà con il suo

Margarita rosato




venerdì 13 maggio 2016

Il ratto d'Europa





Europa era una fanciulla dotata di una bellezza così singolare, da far innamorare di sé Zeus. Zeus la vide mentre in compagnia delle sue ancelle, raccoglieva fiori in un prato, si innamorò all'istante e la rapì. E' quello del prato fiorito e dei giochi delle fanciulle vergini, uno schema che si ritrova costantemente nella mitologia, greca, ma anche di altri popoli. Il simbolismo del rapimento non rappresenta altro che la sottile linea di demarcazione nel passaggio della donna dall'età adolescenziale all'età adulta. Il prato fiorito è quindi la metafora creata nell'immaginario poetico per fornire una dimensione spaziale mitopoietica al passaggio delle due fasi della vita della donna. La fertilità della terra e la fecondità della donna si confondono , la donna diventa la detentrice del mistero della creazione, della sacralità della vita.








L'esistenza umana stessa è d'altra parte assimilata alla vita vegetale da cui i poeti e i filosofi hanno nutrito le loro opere. L'espressione cogliere la rosa è stata per molto tempo la metafora preferita dai poeti per parlare della perdita della verginità nella donna.
Analizzando la struttura del mito del ratto di Europa, come di altri ratti, Proserpina, Semele, Creusa e altre ancora, non possiamo non notare che la maggior parte di esse, erano divinità di natura ctonia, unione che rispecchiava la ierogamia del Dio con le divinità della terra. Le avventure erotiche delle divinità superiori, si ricoprivano, secondo Eliade Mircea di significati politici e religiosi, infatti giacere con una divinità preellenica, venerata da tempo immemorabile significava predisporre il campo al processo di unificazione e simbiosi idonee a conferire alla religiosità la sua caratteristica propria, integrandosi con il sistema religioso precedente e gettando le basi per quella che saranno le basi della religiosità greca.








Europa era figlia di Agenore, uno dei due gemelli che Libia aveva generato con Poseidone, l'altro era Belo il re dell'Egitto.
Agenore, lasciò l'Egitto e si stabilì a Sidone dove si sposò con Telefassa, colei che illumina lontano, altrove chiamata anche Argiope che gli diede come figli Cadmo, Fenice, Cilice e un'unica figlia, Europa.
Zeus si innamorò di Europa e ordinò a Ermes di condurre il bestiame di Agenore verso la costa del mare di Tiro, proprio il luogo dove le fanciulle si trovavano per raccogliere i fiori e passeggiare.








… Con la figlia del Re, la cui beltade
Non ebbe pari al mondo in quella etade...

...Di questa il padre Agenore fu detto.
E di Tiro e di Sidonia fu Signore.
La figlia Europa ebbe si grato aspetto,
Ch'accese al suo amor l'alto motore.
Ahi come stanno male in un soggetto,
Con grave maestà, lascivo amore...
… Per lascivo pensiero, per troppo amare,
Fuori da ogni dignità, d'ogni decoro
Prese per troppo amore la forma di toro...
Ovidio- Metamorfosi








Zeus sotto le sembianze di un toro bianco, si unì al resto della mandria. La bellezza dell'animale non tardò ad attirare l'attenzione della fanciulla. Il suo manto era più bianco della neve (Mosco da Siracusa invece descrive il manto di un bel colore fulvo e con una macchia bianca sulla fronte a forma di stella, i suoi occhi brillavano del fuoco dell'amore, le corna piccole e lucenti come gemme, formavano un semicircolo simile a luna crescente, le sue zampe erano grandi. Europa vinto l'iniziale timore si avvicinò al toro che era diventato docile come un agnellino, il suo manto emanava il profumo del croco. Raccolse l'erba dal prato e l'avvicinò al toro che disdegnando l'erba che aveva vicino, volle mangiare solo quella che le offriva Europa.
Europa continuò a giocare con il toro e la sua audacia si spinse fino al punto di porgli tra le corna una ghirlanda di fiori. Vinta del tutto la sua naturale ritrosia, volle montargli sulla groppa, mentre il toro lentamente si spingeva verso la riva del mare.








… Come una gemma il chiaro, e piccolo corno
Si bel risplende, che par fatto a mano:
Move con dignità l'occhio d'intorno,
E mostra un volto amabile, et humano.
Dolce rimira quel bel viso adorno,
Poi si muove ver lei quieto e piano.
Paurosa ella l'aspetta un poco, e fugge,
E il toro per dolor sospira, e mugge...

… La qual più volte le mentite corna
Di vaghi fiori e di ghirlande adorna...

...Su l'erba al fin l'astuto bue si getta,
E col bugiardo sen la terra cova.
Allor l'ardita e vaga giovinetta
Di veder sempre qualche cosa nuova,
Su l' fraudolente suo dorso s'assetta,
Che vuol fare del giovenco un'altra prova,
Prova vuol fare la semplicetta, e stolta,
Se vuol come un destriero portarla in groppa...
Ovidio- Metamorfosi








Ma il toro raggiunta la riva, entrò improvvisamente nell'acqua. In mezzo ai flutti, Poseidone, accompagnato dalle Nereidi e dai Tritoni corse ad incontrarli. La fanciulla terrorizzata guardava la terra che stava lasciandosi alle spalle, con una mano si teneva saldamente al corno del toro mentre con l'altra reggeva ancora il cestino dei fiori, quel cestino che Efesto aveva forgiato per farne dono a Libia, la nonna di Europa. Finemente cesellato in oro, rappresentava una giovenca che veniva sfiorata dalla mano di Zeus, quella giovenca era Io, la trisavola di Europa.








Con Io Zeus aveva celebrato le sue prime nozze taurine. Io, la figlia di Inaco, il dio fluviale di Argo. Sotto le spoglie di giovenca, errabonda, sospinta da un luogo all'altro senza tregua, fuggì dal fiume padre per approdare sulle sponde di un altro fiume, il Nilo, dove Zeus l'aspettava per restituirle la forma umana. Io ebbe da Zeus suo figlio Epafo. Istituì il culto di Isis, mentre suo figlio Epafo che era il toro divino Apis regnò in Egitto e ebbe una figlia Libia, la madre di Agenore e Belo. Ancora una volta la storia si ripeteva. Approdò infine il toro sulla terra ferma, a Cortina, vicino a Creta, trasformatosi in aquila, Zeus si congiunse con Europa in un bosco di salici sulle sponde di un fiumiciattolo o secondo altri sotto un sicomoro sempre verde.
Europa gli diede tre figli, Minosse, Radamante e Sarpedone.
Il padre Agenore sconvolto dalla notizia del rapimento della figlia, ordinò ai suoi figli di cercare Europa e di non fare ritorno al palazzo senza averla ritrovata. Ai tre figli, si unirono nella ricerca, la madre Telefassa e Taso, figlio di Nettuno.









Le loro ricerche li spinsero in paesi molto lontani, di Europa nessuna traccia. Visto l'esito infruttuoso delle loro ricerche, anche la speranza di far ritorno a casa, si affievolivano ogni giorno di più. Decisero allora di dividersi. Fenice fece approdo in quella terra che da lui prese il nome, cioè la Fenicia, Cilice divenne il re delle terre adiacenti la Fenicia, dominando la parte di terra adiacente al fiume Piramo e che fu chiamata Cilicia. Cadmo e Telefassa penetrarono nella Tracia e così fece anche Taso che fondò la città omonima.
Europa, nel frattempo era diventata la moglie di Asterione, un piccolo re di Creta, che vedutala si innamorò di lei, la sposò e divenne il padre adottivo dei figli che aveva avuto da Zeus.









 Diventati adulti i tre ragazzi, figli di Europa entrarono subito in conflitto tra loro, la causa fu l'amore del bellissimo giovane Mileto, figlio di Apollo e di Aria. Tra i tre fratelli scoppiò la guerra e Minosse ne uscì vincitore. Mileto innamorato di Sarpedone fuggì con lui per approdare nella Caria, dove fondò la città che porta il suo nome; Sarpedone intanto si era alleato con Cilice, in lotta contro i Licii, ne usci vincitore, e fondò un regno in Licia. Radamante fuggì in Beozia dove prese in moglie Alcmena. Alla sua morte divenne uno dei giudici degli inferi assieme al fratello Minosse. Quest'ultimo regnò a Creta, sposò Pasifae figlia del Sole e di Perseide ed ebbe come figli Catreo, Deucalione, Glauco ed Androgeo e come figlie Ecale, Senadice, Arianna e Fedra.








Cadmo che ancora cercava la sorella Europa, dopo aver sepolto la madre Telefassa, in Tracia dove avevano ricevuto ospitalità , si recò a Delfo per avere notizie di Europa. Il Dio gli disse di smettere di cercare la sorella ma di cercare una mucca che avrebbe incontrato per strada.

Cadmo, figlio d'Agenore, m'ascolta,
E metti in cuore quanto io ti dico. Al primo
Sorgere dell'Aurora anche tu sorgi:
Vestiti prontamente, e con in pugno
l'asta ben ferma la divina Pito
Lascia, e in cammino mettiti attraverso
Del paese Flegeo, e della Focide,
Finchè di Pelagon vegga le vacche,
E il lor custode: Dell'armento allora,
Una ne scegli, che vedrai sui fianchi
Bianca aver macchia, e tonda al par che in Cielo.
Tonda è la luna. Ti fia scorta questa
Nel cammin che rimane. Un segno certo
Abbiti poi dov'essa il capo abbassi,
E pieghi le ginocchia, onde sull'erba
Prendere riposo. Allor vittima l'offri
Ivi alla Terra. Poscia quel che Martedì Pose per guardia al fonte suo, all'Inferno
Tu manderai; e una cittade in cima
Fabbricherai del Monte. Oh! Avventurato
Cadmo! In appresso di stirpe immortale
Donna sarà tua sposa; e nome eterno
In fra gli uomini avrai.








Si mise dunque in cammino, quando usci dall'armento di Pelagonte una vacca con una mezzaluna su ciascun fianco. Cadmo la segui. La mucca percorse tutta la Beozia, finché ad un certo punto si sdraiò a terra. Era quella la terra dove secondo l'oracolo doveva nascere la futura città di Tebe costruita sul modello di Tebe d'Egitto. Cadmo decise di sacrificare la bestia a Minerva, per questo ordinò ai suoi uomini di attingere acqua alla fonte Marzio, sorvegliata da un drago figlio di Ares. Quel drago uccise parecchi degli uomini di Cadmo e fu da questi ucciso. Minerva gli consiglio di seminare i denti.
Dalla terra uscirono uomini armati chiamati Sparti che vuol dire seminati.








Costoro subito entrarono in discordia tra di loro e ricorsero alle armi, finchè rimasero in vita solo cinque: Echione, Udeo, Ctonio, Ipenore e Polore e furono costoro che aiutarono Cadmo a costruire la città, Anfione costruì invece le sue mura al suono della sua lira. Cadmo introdusse in Grecia il culto delle divinità fenicie ed egiziane, l'uso dei caratteri alfabetici e della scrittura. Ares, per vendicarsi della morte di suo figlio, ridusse Cadmo in schiavitù, per otto anni.
Trascorso il tempo stabilito, Cadmo prese moglie. Questa fanciulla era Armonia, figlia di Venere e di Ares. Fu in quell'occasione che tutti gli Dei, lasciarono l'Olimpo e scesero sulla terra per unirsi al banchetto nuziale di un mortale. Il dono di nozze di Cadmo alla sua sposa fu una collana cesellata da Efesto e donata da Zeus ad Europa. Ferecide ci dice però che il dono di nozze di Cadmo ad Armonia fu un peplo appartenuto ad Europa.





( Immagini dal web )





Piemontesità

Piemontesità
" ...ma i veri viaggiatori partono per partire, s'allontanano come palloni, al loro destino mai cercano di sfuggire, e, senza sapere perchè, sempre dicono: Andiamo!..." ( C.Boudelaire da " Il viaggio")